Redento Berno, matricola 19749, era nato a Dolo il 20 luglio 1886. Figlio di Pietro, muratore trentenne, e di Teresa Mingardo, fu catturato durante la ritirata del Piave. Prima della guerra lavorava seguendo le orme del padre; poi, nel marzo 1916, fu chiamato a combattere.

Da quanto si apprende dal foglio matricolare, Berno non effettuò il servizio di leva con gli altri nati del 1886 perché riformato ma fu chiamato alle armi come imposto dalla mobilitazione del 23 maggio 1915. L’11 marzo 1916 fu rivisitato dai medici del distretto militare di Venezia e il 29 aprile fu mobilitato. Si presentò nel 56° Fanteria, Brigata Marche, ma la permanenza nell’unità fu breve: il 31 luglio aveva già cambiato unità e, con il ruolo di mitragliere Fiat giunse sul monte Sabotino, settore controllato a partire dal 20 maggio dal 77°, Brigata Toscana.

Fino all’aprile 1917 Berno visse alcuni dei momenti più importanti del conflitto, legati soprattutto alla conquista del monte, reso un’autentica fortezza da parte dei difensori: a partire dal maggio 1915, i difensori galiziani avevano creato un sistema apparentemente imprendibile formato da gallerie, tunnel e casematte di cemento armato per le mitragliatrici in cima alla montagna. Il sistema sfruttava al meglio il lato a strapiombo tra le quote 609 e il dente di quota 572, posizionandovi i comandi e altri vari servizi; erano stati costruiti vari nidi di mitragliatrice e di mortaio, raggiungibili facilmente grazie ai camminamenti e alle scalinate, mentre una galleria facilitava lo spostamento dei soldati dalla retrovia alla prima linea e tutte le entrate erano protette da reticolati. Il Sabotino era servito dall’elettricità e dall’acqua corrente e una teleferica lo collegava con il fondovalle. Solitamente gli italiani assaltavano sempre da nord-ovest, sul lato più favorevole, che si poteva sfruttare grazie alle gobbe sulla cresta e gli avvallamenti sul fianco. Fritz Weber, però, sottolineava che l’impianto difensivo del monte reggeva solo se gestito da una guarnigione che lo conosceva molto bene. Pochi giorni prima della VI battaglia dell’Isonzo arrivò il 37° Reggimento di fucilieri dalmati, poco esperti sulla gestione del sistema difensivo. Ecco che il forte naturale, incredibilmente corazzato, diventava allo stesso tempo vulnerabile.

Nello schema della battaglia il 77° doveva agire ai piedi del monte assieme a due battaglioni della Brigata Trapani. L’attacco scattò la mattina del 6 agosto, anticipato dal consueto bombardamento dell’artiglieria, iniziato alle ore 7. Alcune pattuglie furono mandate in avanscoperta per controllare lo stato di efficienza dei reticolati; constatato che erano distrutti, alle ore 16 il grido «Savoia!» spezzava il silenzio e dava inizio alla battaglia. La Toscana conquistò il Sabotino e alcune truppe si spinsero sull’Eremo di San Valentino e San Mauro, salvo poi essere ricacciati dall’abitato dal 23° Reggimento dalmata.

Gli austroungarici, colpiti dalla perdita del monte e della città di Gorizia, il 7 agosto contrattaccarono impegnando gli italiani in un disperato corpo a corpo ma invano, perdendo moltissimi uomini tra morti e feriti e almeno 700 prigionieri; la situazione degli imperiali si aggravò quando furono presi alle spalle dalla Abruzzi, che il giorno prima si era asserragliata a Oslavia. Il monte Sabotino era definitivamente conquistato: al secondo ultimatum di resa, i difensori dell’avamposto risposero con il lancio di granate e spari di fucile. Gli italiani diedero alle fiamme le caverne. La battaglia del Sabotino costò la vita a 6310 italiani, i feriti furono 32784 e i dispersi 12127. La Toscana perse 1400 uomini e nella notte a cavallo del 14 agosto fu ritirata per riordinarsi a Ca’ delle Vallade, a Cormons. Fu insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Fino a metà settembre gli uomini restarono in riposo; dopo un altro breve periodo sul Sabotino, furono spostati nella zona di Nad Logem. Si era alla vigilia della VII battaglia dell’Isonzo e la Toscana entrò in scena tra il 9 e il 12 ottobre per un assalto al Veliki Hribach, nella zona di Loquizza, e del monte Pecinka. Tutte le posizioni situate nella parte occidentale del Veliki furono conquistate e il giorno di Ognissanti la cima del monte fu definitivamente presa. L’obiettivo diventava quindi il monte Fajti; gli austroungarici cercarono di distogliere l’attenzione degli italiani dalla sua conquista, impegnandoli nuovamente sul monte perduto il giorno precedente. La Brigata di Berno, vistasi minacciata alle spalle, accerchiò gli imperiali in una sacca e dopo quest’operazione, assieme al resto della truppa, puntò e fece suo il Fajti, catturando 1500 prigionieri tra cui il comandante della 55° Brigata austroungarica. Il colpo inferto fu pesante: il 3 novembre il comando austroungarico diede l’ordine di bombardare il monte e di contrattaccare. La Toscana, che nell’azione dell’artiglieria aveva subito gravi perdite, non indietreggiò e, dopo quattro giorni di scontri, costati quasi 1600 uomini, fu ritirata a Palmanova.

Passato l’inverno 1916 – 1917 Berno esaurì la sua esperienza nella Toscana e fu assegnato alla 258^ compagnia di mitraglieri Fiat alla dipendenza del 37° Fanteria, Brigata Ravenna, che, dopo 5 mesi ininterrotti di prima linea, dal febbraio si trovava nel settore di Vertojba – Merna. Emerge un dubbio quando si parla di questo frangente nella vita di Berno: il 9 aprile 1917 si sposò con Luigia Pauletto, ma non sappiamo se era in licenza a Dolo oppure se è avvenuto per procura.

Un mese dopo l’arrivo al reparto, Berno era di nuovo catapultato in combattimento. L’obiettivo della X battaglia dell’Isonzo era la conquista dell’inferno di Vertojba, posizione ritenuta inespugnabile. Dopo 60 ore di bombardamenti, tra il 14 e il 16 maggio la fanteria italiana uscì dalle trincee e cercò inutilmente di far proprie le posizioni di quel settore del fronte, perdendo 350 uomini.

Dopo le sconfitte, la Ravenna fu posizionata a Kambresko. Era pronta l’offensiva della Bainsizza e doveva impossessarsi della strada che da Chiapovano portava al monte Rokel. Il 24 agosto scattava l’offensiva e dopo violenti scontri alcuni battaglioni si attestarono su quota 895, a Ravne na Koroskem. Altrettanta fortuna non ebbe il 38°; l’avanzata, quindi, era posta tutta sulle spalle del 37°, che il 26 conquistò le alture antistanti al Volnik, a est di Berg, caduta a sua volta il 28, salvo poi abbandonarlo a causa del violento fuoco del nemico. In poche giornate furono messi fuori combattimento 1345 uomini. Il 31 agosto la Ravenna andò a riposo prima a Podresca di Prepotto e poi a Canale.

Iniziata l’offensiva austro-tedesca il 24 ottobre nella zona di Tolmino, la Brigata si trovò schierata sulla linea Koprivsce – quota 814 – quota 725. I primi assalti nemici furono respinti ma ormai il fronte di Caporetto era stato sfondato: come tutte le Brigate lungo il fronte carsico anche la Ravenna cominciò la ritirata protetta dalla retroguardia. Il 26 ottobre iniziava il percorso per raggiungere il Piave: passato l’Isonzo a Plava, raggiunse San Vito al Torre il 27; il 30, invece, era a Santa Maria di Sclaunicco. Una volta raccolti i superstiti del 38° Fanteria, sopraffatto a Lestizza, riprese la marcia e passò il Tagliamento sui ponti di Madrisio. Infine, si mise in salvo il 5 novembre dopo aver passato il Piave.

Purtroppo, però, tra i superstiti della ritirata non compariva il nome di Redento Berno: infatti fu catturato il 2 novembre. L’ultima notizia che abbiamo di lui riguarda la data e il luogo del decesso: portato nel campo di prigionia di Villach, spirò il 3 ottobre 1918 a causa di una malattia. Il suo corpo riposa nel cimitero militare del campo.

Fonti:

Diario della Brigata Toscana e della Ravenna

Per la battaglia del monte Sabotino: CARLO MEREGALLI (prefazione di Giulio Guderzo) – Grande Guerra. Tappe della Vittoria – Ghedina  e Tassotti editore, 1996, II edizione

Sito Ministero della Difesa, Onoranze per i Caduti in Guerra

Archivio Comunale di Dolo

Gianfranco Berno ritira il Gagliardetto della Memoria in onore di Redento Berno

Ivan B. Zabeo