Abbiamo parlato sempre di casi di soldati presi singolarmente, ma questa volta vogliamo ricordare invece due fratelli deceduti durante la Prima Guerra Mondiale: Andrea e Cesare Brigo. Prima però di procedere con le loro storie vogliamo lasciare spazio al messaggio lasciato dalla nipote Annalisa, a nome della famiglia.

Il 25 aprile 2015 è stato un giorno speciale perché siamo stati invitati dal Presidente dell’Associazione Riviera al Front, Ivan Zabeo, e dall’Assessore alla Cultura Antonio Pra, che ringraziamo sentitamente, a ritirare i riconoscimenti per i nostri famigliari che hanno combattuto al fronte nella Prima Guerra Mondiale. Nella solenne atmosfera della sala Consigliare del Comune di Dolo, alla presenza di innumerevoli autorità, con grande commozione abbiamo ricevuto i Gagliardetti per le relative campagne di guerra: per Andrea e Cesare Brigo, fratelli del nonno paterno, periti in seguito alle gravi ferite subite, e per Umberto Martellato, nonno materno, sopravissuto ed insignito di Medaglia d’Oro e Cavaliere di Vittorio Veneto per un significativo atto di eroismo. Mi pervade un grande senso di riconoscenza, per il grande sacrificio di questi ragazzi, per una guerra che forse si poteva evitare, come si dovrebbero evitare tutte le guerre! Non dobbiamo dimenticare che ci hanno lasciato in eredità un’Italia libera e democratica, che dobbiamo custodire gelosamente, affinché il loro grande sacrificio non sia stato vano.

Annalisa Brigo

Andrea Antonio e Cesare Brigo nacquero a Sambruson, figli di Luigi, contadino, e della moglie Santa Giovanna. Andrea era nato nel 1890, mentre Cesare era di sette anni più giovane.

Andrea, matricola 17702, a fu mobilitato il 1 giugno 1915 e a distanza di pochi giorni, a 25 anni, fu assegnato all’87° Fanteria, Brigata Friuli, che fu prima mandata a Bassano del Grappa e poi avvicinata al fronte isontino, a Palmanova. Il 20 agosto, per la prima volta, lui e gli altri soldati dell’unità si appostarono nelle trincee della zona di Monfalcone. Il battesimo del fuoco per i fanti del Reggimento arrivò il 12 ottobre, quando il primo battaglione partecipò ai combattimenti su quota 93.
Poco prima della terza battaglia dell’Isonzo Andrea fu inviato nel 31° Fanteria, Brigata Siena, operante a Castelnuovo. L’obiettivo della battaglia era la conquista della cosiddetta ‘trincea delle frasche’, così chiamata per via dei rami che la nascondevano alla vista dei ricognitori aerei italiani. Gli assalti cominciarono il 21 ottobre e durarono tre giorni. Solo il 23 gli italiani s’impossessarono della prima linea nemica ma si trattava di un successo effimero poiché la notte seguente furono ricacciati dai vecchi difensori. In occasione della battaglia il comandante della Brigata fu destituito temporaneamente dall’incarico: il 22 ottobre si realizzarono tre balzi in avanti, a cominciare da quello delle 10 della mattina fino a quello delle 14 pomeridiane. Visti i risultati insoddisfacenti, il comandante, Maggiore Generale Federico Pastore, decise di infrangere un ordine che avrebbe portato al quarto assalto. Dopo nuovi colpi di mano continui, con protagonista il 32° reggimento, l’intera Brigata fu portata a Palmanova per riorganizzarsi, passandovi le feste di Natale.

In previsione di una possibile offensiva austroungarica in Trentino, a marzo la Siena fu dislocata tra Grigno e Strigno, nella zona di Trento, mentre due battaglioni erano stati schierati lungo il torrente Maso e la Val Maggio. Dopo un attacco che coinvolse il 32° sul monte Carbonile e su Spigolo Frattasecca, nella zona di Panarotta, tra il 14 e il 16 aprile il comando di divisione decise di spostare la Brigata sulla linea tra Cima Manderiolo e Sant’Osvaldo. Dopo tre giorni di serrati combattimenti corpo a corpo, tra il 6 e il 9 aprile, la mattina del 16 aprile i tirolesi avviarono le prove per la Strafexpedition del mese dopo con un attacco su Sant’Osvaldo, travolgendo il secondo battaglione del 31° e costringendolo a ripiegare a Volto e poi sul torrente Larganza, in località Roncegno Terme. Secondo lo storico ed ex soldato dell’esercito austroungarico Heinz Von Lichem, le spallate austriache di aprile sull’Armentera risultarono determinanti per lo sfondamento di maggio perché fu aperta una breccia: in questo settore gli avversari sprigionarono la loro forza lungo tutta la linea del Trentino, seguendo il Brenta e l’Adige. Nella serata del 15 maggio gli austroungarici riuscirono a sfondare a Villa Ceschi, con la Siena costretta all’arretramento, svolto fino al 22 maggio, inizialmente occupando la linea Villa Hippoliti e Moschene (il 16), poi Cima Dodici (il 18) e, infine, stabilendosi a difesa di monte Civaron e a Ospedaletto.

Durante la ritirata Andrea fu ferito in modo grave: l’8 giugno partì dal fronte a causa di una anchilosi parziale del gomito destro provocata da un’arma da fuoco. Portato a Roma, restò in cura fino al 2 febbraio 1917. La convalescenza durò un anno e l’8 giugno tornava a fianco dei suoi compagni, con la Siena posizionata a Jamiano. Dopo un periodo di riposo durante l’ultima decade di luglio, tra il 1 e il 16 agosto occupava la linea di Komarje.
Non guarì del tutto dalla ferita occorsa a Ospedaletto nel giugno 1916. Il 1° settembre fu mandato in licenza straordinaria per curarsi dai postumi della ferita subita al braccio destro e della tubercolosi polmonare. La sofferenza del fante durò altri due mesi. Alle ore 16 del 19 novembre morì nella sua casa di via Alture 175 a 27 anni.

Mentre Andrea consumava gli ultimi giorni al fronte sul Carso, il fratello Cesare cominciava la sua guerra. Arruolato il 16 agosto e iscritto alla prima categoria con la matricola 21989, due giorni dopo veniva assegnato al deposito del 55° Fanteria, nella Marche, con sede a Treviso. Dopo la ritirata dall’Isonzo le forze armate italiane dovevano essere riorganizzate e Cesare fu assegnato per quattro giorni al 265° Fanteria, nella Lecce, appostatasi sulle Grave di Papadopoli, giusto in tempo per contribuire a bloccare l’avanzata del nemico che, grazie a un ponte di barche, stava superando il Piave. Il 20 novembre fu inviato nella Torino, nell’82° Fanteria, che operava a poca distanza dalla Lecce. Il mese di dicembre, passato tra Candelù e Maserada, fu di tregua non dichiarata, utile ad entrambi gli eserciti per riorganizzarsi; tra il giorno di Natale e l’inizio di febbraio Brigo e i compagni furono ritirati a Treviso per poi ritornare, tra febbraio e maggio, a presidio della zona del Sile, tra Ca’ del Negro e Salsi.

Nel primo giorno della battaglia del Solstizio (15 giugno 1918) l’82° era in prima linea e la sera gli imperiali oltrepassarono il fiume creando una testa di ponte a Capo Sile; le cose sembravano mettersi male, ma il terzo battaglione riuscì a ricacciarli; gli asburgici attaccarono nuovamente all’alba del 18, sempre nella parte presidiata dal terzo battaglione, trovando nuovamente un baluardo insormontabile. Dopo due giorni di tregua fu la volta della Torino ad andare all’attacco: lungo tutto il settore da essa controllato, la Brigata cercò di passare il Piave realizzando azioni dimostrative nel settore di Jesolo; il 22 giugno l’82° sfondava a Ca’ Massocco e riusciva a catturare 270 uomini e molto materiale bellico. L’ultima fase di scontri prima del riposo vide la Torino attaccare la Piave Vecchia, dove il campo di battaglia era paludoso e ricco di vegetazione, favorendo gli imperiali nell’allestimento di una buona linea di difesa. Nonostante tutto, la fanteria italiana riuscì, dopo due giorni di scontri, ad impossessarsi di importanti posizioni, a catturare 300 prigionieri e altro materiale bellico. La prima fase della battaglia del Solstizio si concluse con un successo ma in quei giorni la Brigata, con l’81° che stava combattendo a Meolo, perse più di 800 uomini.
Dopo essersi riorganizzata, a inizio di luglio la Torino passò alla nuova controffensiva per ricacciare le ultime sacche nemiche al di là del fiume. Il Reggimento di Brigo, nonostante il campo insidioso e inondato, grazie all’ardimento di alcune pattuglie riuscì a raggiungere Bova Favaretto. La forza della Brigata italiana era implacabile e gli austroungarici, ormai battuti, passarono il Piave sulla sponda sinistra. I soldati dalla mostrina color giallo-blu presero così posizione a difesa del tratto tra Ca’ Bressanin e il mare, ottenendo il supporto della Regia Marina. Dopo aver respinto con tenacia gli austroungarici e averli ricacciati al di là del fiume, la Brigata fu mandata in riposo a Cavallino. Le gesta della battaglia del Solstizio furono premiate con la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Il periodo di riposo durò qualche settimana e il 13 agosto la truppa fu spostata prima a Ca’ Vianello e, pochi giorni dopo, a Badoere. La Torino era però destinata a cambiare il versante del fronte: dal Piave si passava alla Val Giudicarie. Il 1 ottobre la Brigata si collocava così sulla linea tra Monte Melino e Levanech, in attesa di passare all’attacco in quella che sarebbe divenuta la battaglia finale. Mentre sul Piave e sul Grappa le fanterie combattevano già da giorni, il 3 novembre la valle risultava ormai sgombra da qualsiasi forza nemica, ormai in rotta. Quel giorno, partendo da Comlino, la Torino conquistava senza sparare un colpo gli abitati di Lardaro, Biondo e Trone. Infine, il 4 novembre, giorno dell’armistizio, assieme agli arditi, i fanti dell’82° entravano a Mezzolombardo, mentre il Reggimento gemello proseguiva per Bolzano.
La guerra era finalmente finita, ma la vita di Cesare sarebbe proseguita per poco tempo: rimasto alle armi per terminare il periodo di ferma, fu trasportato all’ospedale militare di Roma; il 24 maggio 1920 fu riformato e mandato a Sambruson. Non guarì e morì a 22 anni il 20 luglio 1920 nella casa in via Alture.

Annalisa e Bruna Brigo ritirano il Gagliardetto della Memoria in onore dei soldati Andrea e Cesare Brigo

Fonti:

  • Diari delle Brigate Siena, Torino, Lecce, Friuli
  • Heinz von Lichem: La guerra in montagna 1915 – 1918. Il fronte dolomitico
  • Fogli matricolari di Andrea e Cesare Brigo, conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia

Ivan B. Zabeo