Siamo ritornati nella Seconda Guerra Mondiale e ricordiamo in questa occasione l’autiere Bruno Sinigaglia, cioè il nonno dell’autore dell’articolo. Non ho avuto il piacere di conoscere mio nonno perché una malattia se lo è portato via troppo presto, nel 1975. La storia che leggerete non intende ricordarlo solo come soldato ma anche come uomo e modello per la moglie Bruna, le quattro figlie Luigina, Rosanna, Lucia e Mariagrazia e tutti i suoi nipoti e pronipoti. La sua figura è importante per me e anche per Riviera al Fronte: perché è anche grazie ai racconti delle zie e di mia mamma che siamo arrivati a creare l’associazione e a realizzare il progetto che stiamo portando avanti, assieme alle tante famiglie di altri soldati

Bruno Sinigaglia

Bruno Sinigaglia era nato a Liettoli di Campolongo Maggiore nel luglio 1917 e aveva combattuto la Seconda guerra sul fronte jugoslavo come autiere. Non sappiamo molto di lui, le uniche informazioni sono state tramandate alle figlie Luigina, la priomogenita, Rosanna, Lucia e Mariagrazia. Bruno non era solito raccontare molto alle figlie e alla moglie perché di natura era molto riservato e chiuso; tuttavia, Luigina ricorda ancora alcuni aneddoti molto importanti che raccontano la sua esperienza al fronte.

Bruno in sella del suo cavallo a Palmanova

Appartenente alla classe 1917, Bruno fu chiamato alle armi nel 1937 e da quel momento, tra la leva obbligatoria e l’inizio della guerra, non tornò più a casa. Svolse il servizio militare nella cavalleria a Palmanova fino al 1939, restando però a disposizione dell’Esercito in quanto erano in corso le operazioni militari in Albania e in Europa stava per cominciare la guerra mondiale. La passione per i motori lo avevano salvato dalla prima linea: era un meccanico e riparava le motociclette – dopo la guerra si era comprato una Bianchi nera e una Guzzi color rosso fiammante – e mentre era in Friuli gli era stata assegnata la patente per guidare i camion e le automobili. Questo fatto lo risparmiò dalla prima linea quando il suo battaglione fu inviato in Dalmazia, ex Jugoslavia, occupata dalle truppe italiane e tedesche e sottoposta al controllo della Repubblica Croata degli Ustascia di Ante Pavelic, e in altre regioni balcaniche. Bruno era stato anche in Montenegro e questo viene ricordato anche dalle figlie perché, devoto cristiano qual era, teneva ad andare a vedere dove era nato il religioso Leopoldo, diventato poi santo, a Castelnuovo di Cattaro (oggi in Montenegro).
Bruno era un autiere delle alte cariche militari dell’Esercito e non partecipò a battaglie. Fu però vittima di un agguato assieme al colonnello che stava trasportando: durante l’occupazione militare italo-tedesca, i partigiani cercarono di uccidere l’ufficiale. Nello scontro a fuoco che ne nacque il colonnello fu ucciso, mentre Bruno si salvò.

Una svolta nella vita del soldato Sinigaglia arrivò l’8 settembre 1943: l’Italia si era arresa agli Alleati e l’Esercito era allo sbando. Una volta entrati i tedeschi per il Brennero, tutti gli uomini abili al combattimento venivano rastrellati; ai soldati italiani veniva data una possibilità di scelta: o continuavano a lottare a fianco della Wermacht oppure venivano inviati nei lager del centro Europa. Il pericolo per i soldati di stanza in Jugoslavia era doppio: oltre ai tedeschi, dovevano guardarsi le spalle e non farsi catturare dalle squadre partigiane jugoslave, alcune delle quali vicine a Tito. Per evitare di farsi catturare e combattere ancora, Bruno e tanti altri suoi commilitoni scapparono dal cuore dell’Europa per tornare a casa, forse inconsci che l’Italia era stata invasa ed era diventata un campo di battaglia. Presero un camion e si diressero verso nord, fino a quando il gasolio non si esaurì; da quel momento gli uomini furono costretti a tornare a piedi. Dal settembre 1943 la marcia per tornare a casa era stata molto lunga e terminò nei primi mesi del 1944. L’avvicinamento a casa era stato duro e nonostante qualche aiuto ricevuto dalle donne che incontravano, la fame era molta ma la sete non lasciava scampo e del numeroso gruppo scappato dalla Jugoslavia tornarono solamente in undici.

Una volta ritornato a casa, la situazione per Bruno era ancora pericolosa: la Repubblica Sociale chiedeva altri uomini da inviare al fronte. La famiglia Sinigaglia fece quadrato attorno al figlio reduce, aiutandolo a nascondersi. Durante un rastrellamento, i tedeschi arrivarono nella casa-fattoria dove abita la famiglia. Nonostante il controllo, mio nonno non fu trovato: si nascose all’interno di una mangiatoia, sotto al fieno dove mangiavano le vacche e dove i tedeschi fortunosamente non cercarono; inoltre le donne giocarono la loro parte, urlando agli occupanti che in casa c’erano solo loro considerato che gli uomini erano tutti al fronte (erano quattro cugini di mio nonno, tre dei quali risultarono poi morti e uno prigioniero in Germania). Bruno riuscì a restar nascosto fino alla fine della guerra.

Nel 1947 si sposò con Bruna a Liettoli di Campolongo Maggiore e misero al mondo quattro figlie. La famiglia si è poi allargata, arrivando a contare oggi sette nipoti e 8 pronipoti. Bruno, uomo timido e mite, dedicò la sua vita alla famiglia, al lavoro e alla sua moto e visse raccontando poco di quella che era stata la sua esperienza in guerra; ricordava però gli eventi di cui abbiamo parlato e la grande fame e la sete che con i suoi compagni aveva patito. Colpito da una malattia, morì nel 1975.

Anche Bruna era stata coinvolta nella guerra con un avvenimento molto particolare: nel 1944 i bombardieri alleati colpivano non soltanto le grandi città e i poli industriali dell’Italia del nord ma anche le principali arterie della zona. I punti principali erano il Naviglio, lungo la Riviera del Brenta, e i ponti che attraversavano il Brenta, importanti per gli spostamenti delle truppe tedesche verso la prima linea dell’Italia centrale. Durante uno dei raid la contraerea era riuscita ad abbattere un bombardiere e due paracadutisti inglesi trovarono riparo in un boschetto nella zona di Campolongo Maggiore. La nonna raccontava che, assieme ad altri componenti della famiglia, dopo averli trovati per caso portava loro del cibo. Questo finché non li trovarono più: probabilmente erano stati trovati dai tedeschi o dai fascisti.

La figlia Luigina ritira il Gagliardetto della Memoria in ricordo del padre Bruno (26 aprile 2015)

Ivan B. Zabeo