Attività 2021

Il 2021 si apre sulla scia degli eventi nazionali e mondiali del 2020. La pandemia da Covid-19 ha segnato le nostre attività relegandole, almeno per la prima parte dell’anno, alle sole videoconferenze. La stessa fine del 2020 ha portato ad un cambio di ruoli all’interno dell’associazione.

La partecipazione alle Staffette Social 2020 di oltre un centinaio di appassionati, associazioni, amministratori pubblici che hanno reso queste rassegne un vero impegno collettivo ed il riconoscimento del pubblico, con le decine di migliaia di visualizzazioni dei video proposti, ci hanno indotti a continuare sulla stessa strada.

31 gennaio
STAFFETTA SOCIAL GIORNATA DELLA MEMORIA

Questa volta avremo anche la partecipazione delle Comunità Ebraiche di Venezia e Padova e di alcune scuole perché il messaggio lasciato da questa celebrazione riguarda soprattutto le nuove generazioni. Non dimenticare, in questa occasione, è ancor più fondamentale perché va oltre lo studio della storia, va verso i valori della solidarietà, dell’uguaglianza e del rispetto nei confronti di tutto il genere umano.
Vogliamo così elevare il significato della memoria e del ricordo, che mai deve abbandonare la nostra società: sarebbe un errore capace di farci ritornare indietro con il timore di rivivere nuovi drammi.

Rivedi gli interventi nel canale YouTube

25 aprile
STAFFETTA SOCIAL GIORNATA DELLA LIBERAZIONE

Causa il protrarsi della pandemia vogliamo continuare ad essere vicini agli appassionati e a tutti i cittadini che credono nei valori della pace e della conservazione della memoria anche se, ancora in modalità tecnologica.

Dalla Riviera del Brenta allarghamo il raggio di interesse a Noventa Padovana e a Cavallino Treporti, fino a coinvolgere studiosi che arrivano da Ferrara. Sono presenti l’ANPI e tanti appassionati insieme ai sindaci di vari comuni che uniranno, alle commemorazioni ai monumenti ai caduti, un messaggio ai loro cittadini in modalità tecnologica.

Non dimenticare, è il punto fermo per ripartire. Così come hanno fatto i nostri padri e i nostri nonni dopo le tremende tragedie belliche del Novecento, oggi vogliamo lanciare questo appello per continuare a credere in una ripartenza dell’Italia, grazie anche alla cultura, dopo la tragedia della pandemia. Rivedi gli interventi nel canale YouTube

13 agosto
PRESENTAZIONE LIBRO “LA RETROVIA DEL FRONTE”

In occasione della sagra di “S. Rocco” viene presentato al pubblico, in Piazza Cantiere a Dolo, il nostro ultimo libro La retrovia del fronte. Stra e Vigonovo durante la Grande guerra (Mazzanti Ed.) del nostro socio Alberto Donadel e del suo collaboratore e nostro sostenitore Armando Saccoman. 

4 novembre
STAFFETTA SOCIAL GIORNATA UNITA’ NAZIONALE E DELLE FORZE ARMATE

L’andamento epidemico (Covid-19) limita ancora fortemente le nostre attività. Se da un lato abbiamo deciso di evitare, anche per quest’anno, l’oramai consueta cerimonia dei “Gagliardetti della Memoria“, dall’altro abbiamo deciso di riproporre, nella giornata del 4 novembre, in occasione delle celebrazioni per la conclusione della Grande Guerra, l’oramai consueta “staffetta della memoria” i cui contenuti multimediali trovate nel canale YouTube.

Siamo inoltre invitati a partecipare ad un importante Forum del progetto Interegg Italia-Slovenia dove il Presidente parla dei valori della pace che provengono dall’esperienze delle guerre e dell’importante argomento del recupero e mantenimento della memoria.

Un soldato con le ali. Sottotenente Pietro Aldo Cacciola: da Messina alla Riviera del Brenta – di Antonio Vittorio Giacomini

L’OPERA

Per quest’impresa editoriale con “Riviera al Fronte” e Mazanti Libri,  Antonio Vittorio Giacomini si cala nei panni di un detective storico alla ricerca della verità circa la sorte di un giovane e sfortunato pilota di caccia della RSI caduto in un caldo giorno d’estate del 1944 nei pressi di Dolo. Un errore? Un incidente? O è forse qualcosa di più?
Guidato dai pochi ma preziosissimi indizi disponibili e da una ragguardevole dose di fortuna, sia in loco che negli archivi nazionali, Antonio riesce a ricostruire nel dettaglio la nebulosa vicenda del S. Ten. Pietro Aldo Cacciola, nato di Messia il 28 agosto 1923e perito in un micidiale schianto al suolo nei pressi del canale Seriola.
L’intera ricerca, piacevolmente narrata anche a voce dallo stesso autore (libro parlato che fa uso della tecnologia del QR-Code), fa largo uso della documentazione d’archivio, impiegata senza far ricorso ad alcun punto di vista personale e rimanendo pertanto imparziale e distaccata.

L’AUTORE

Antonio Vittorio Giacomini, nato a Saletto di Borgo Veneto ma residente a Mira, si è laureato in Informazione, Media e Pubblicità ad Urbino con una tesi di Laurea giunta 2^ nel 2015 al concorso internazionale indetto dal Centro Studi e Ricerce “Mario Pannunzio” di Torino. Appassionato di paracadutismo sportivo, dal 1986 è dipendente in ruolo presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBACT).

Una voce dall’Africa Orientale Italiana: Eliseo Longhin

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Quando si parla della guerra italiana, il fronte dell’Africa Orientale viene spesso messo in secondo piano. Ci si limita a dire che nel 1941 l’Italia perdeva l’Abissina. Quella dell’Impero è stata un’esperienza molto breve: fondato nel 1936 dopo la campagna d’Etiopia, quando scoppia la guerra contro il Regno Unito il 10 giugno 1940 è evidente che l’intero esercito schierato nel Corno d’Africa e senza collegamenti con la madrepatria non avrebbe mai potuto resistere a un’offensiva britannica.

Eppure, come abbiamo visto nel corso della nostra cronaca giorno per giorno, è proprio lungo i confini dell’Abissinia che l’Italia mostra la sua intraprendenza militare. Se in Libia si vive l’incertezza, ad Addis Abeba il comando italiano passava all’attacco e invade la Somalia britannica e opera al confine con il Sudan.

Tra i rivieraschi a difendere il Tricolore sabaudo in Abissinia c’è anche il carrista Eliseo Longhin, classe 1917, originario di Campagna Lupia. Chiamato nel 1937 per il servizio militare, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale viene trattenuto alle armi e parte per l’Africa Orientale: si imbarca a Brindisi e nell’aprile del 1940 sbarca a Massaua, in Eritrea.

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Scoppia la guerra contro il Regno Unito e a differenza di quanto succede nel Mediterraneo, l’esercito italiano sull’Oceano Indiano combatte sapendo di essere in una condizione complicata, senza collegamenti e rifornimenti con l’Italia, circondata da forze ostili. Eppure in luglio viene occupata la Somalia britannica. Il 17 agosto Eliseo Longhin è uno dei protagonisti della battaglia di La Faruk. Vi partecipa a bordo del suo carro armato. Lo sviluppo della sua personale battaglia viene spiegato grazie alla motivazione della concessione della Croce al Merito di Guerra:

Pilota di carro M in un violento combattimento del reparto su un terreno impervio, si lanciava col proprio carro tentando di raggiungere un centro di armi automatiche, che arrestava l’azione delle Fanterie. Ferito in numerose parti del viso, persisteva nel coraggioso tentativo finché il sangue delle ferite non gli toglieva ogni possibilità visiva. Chiaro esempio di abnegazione e di non comune sprezzo del pericolo.” 

Anni dopo essere tornato a casa dai propri cari, Eliseo racconta quell’esperienza: il tank davanti al suo esplode; una scheggia colpisce il suo carro e viene ferito alla testa. Il sangue gli cola sugli occhi ma non smette di combattere, continuando a guidare e portando a termine la missione. Per Eliseo non era stato nulla di straordinario ma un atto dettato dal senso del dovere che sempre lo aveva contraddistinto.

L’esperienza dell’Africa Orientale Italiana termina verso la fine del maggio 1941. Longhin viene catturato dagli inglesi e viene spostato da un campo all’altro, nei deserti del Kenya e del Sudafrica. Una lunga assenza da casa terminata il 31 maggio 1947. La famiglia lo aveva dato per disperso perché non aveva più sue notizie. Ma è festa grande quando torna in paese: le campane della chiesa di Campagna Lupia suonano a dare il felice annuncio e il padre, reduce della Grande Guerra, offre da bere a tutto il paese. Eliseo era tornato in un mondo completamente diverso rispetto a quello lasciato dieci anni prima: l’Italia aveva perduto il conflitto, Mussolini era caduto, il Re scappato dopo l’8 settembre 1943 e le italiane e gli italiani avevano potuto votare per la prima volta scegliendo di diventare una Repubblica. Il paese era distrutto e andava ricostruito.

Eliseo vuole voltare pagina. Era sempre stato una persona riservata e schiva ma come lui molti altri reduci decisero di non tornare più sui drammi e sulle privazioni vissute. Una regola che vale soprattutto in una famiglia in cui i suoi fratelli avevano combattuto in Albania, mentre chi era rimasto a casa aveva sofferto ansia e incertezza, fame, oltre alla brutale occupazione militare e il pericolo di essere falciato dal “Pippo” inglese.

Pure la moglie non vuol sentirne parlare: secondo lei la guerra e la prigionia avevano portato via ad Eliseo gli anni migliori e, una volta tornato a casa, per di più a due anni di distanza dalla fine, per lui non c’era molto: per entrare nelle fabbriche migliori servivano istruzione, formazione e soprattutto raccomandazioni che lui non aveva.

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Ma quando Eliseo diventa prima padre e poi nonno inizia ad aprirsi. Probabilmente sente il dovere di raccontare come monito alle nuove generazioni. A loro riserva aneddoti che facevano sognare un continente lontano: gli struzzi che mangiavano qualsiasi cosa venisse poggiata sui davanzali delle finestre incluse radio e lamette, gli scorpioni che si suicidavano pungendosi da soli quando venivano messi in un cerchio di fuoco, le urla delle iene. Una volta finito l’incanto, andava sulla sua storia personale rimarcando sempre quanto fosse stato fortunato a finire in un campo di prigionia inglese, dove i prigionieri erano trattati bene; i britannici avevano perfino organizzato una scuola che aveva frequentato e di cui era molto orgoglioso. Parlava anche delle infezioni, della malaria, di quando un attacco di dissenteria durante un trasferimento gli aveva fatto perdere il convoglio e la preziosa valigia con dentro tutti i suoi averi più cari, come la giacca in pelle da carrista, le camicie in seta fatte con la stoffa dei paracadute.

Nelle sue parole non c’era amarezza o rabbia, forse perché quando aveva iniziato a raccontare la guerra era lontana e lui era sereno.

È stato iscritto all’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci da quando è tornato e ha partecipato a tutte le celebrazioni del 4 Novembre all’altare dei caduti del paese portando con sé anche i riluttanti nipoti per far capire l’importanza di quello che era stato e delle vite che erano andate perdute.

Lo scorso 24 novembre, in occasione della sesta edizione dei Gagliardetti della Memoria di Riviera al Fronte, viene consegnato nelle mani della figlia Franca e delle nipoti Anna e Francesca il gagliardetto in onore di Eliseo e per ringraziare la famiglia per averne perpetuato il ricordo.

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Attività 2020

Il 2020 era l’anno in cui stavamo organizzando, insieme a una ventina di associazioni, le manifestazioni per il 75° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, ma la pandemia di Covid 19, pur impedendoci di presentarci dal vivo, ci ha anche dato l’opportunità di esplorare nuove modalità tecnologiche di incontro. Il calendario è stato comunque ricco di eventi e durante l’estate ci ha permesso di tornare a incontrarci dal vivo.

25 aprile 2020
STAFFETTA SOCIAL FINE SECONDA GUERRA MONDIALE

Grazie alla possibilità di pubblicare nel canale YouTube e nelle pagine Facebook dell’associazione abbiamo coinvolto una quarantina di associazioni, studiosi, studenti e professori, amministrazioni pubbliche (Sindaci e assessori dei comuni rivieraschi) che ci hanno offerto contributi storici, letterari, musicali che hanno raggiunto migliaia fi persone per tutta la giornata in una sequenza continuativa dal mattino fino alla sera. E’ stato creato un nuovo format di successo che ci accompagnerà ancora finché non saranno eliminate totalmente le restrizioni.
Tutti i video degli interventi si possono trovare qui

12 agosto 2020
UN SOLDATO CON LE ALI di ANTONIO GIACOMINI

Liberi per qualche settimana dalle restrizioni dovute al Covid, durante la sagra di San Rocco a Dolo abbiamo presentato la prima fatica storico letteraria del socio Antonio Giacomini “Un soldato con le ali” di cui trovate tutte le indicazioni qui

4 novembre 2020
STAFFETTA SOCIAL FINE GRANDE GUERRA

La staffetta social raddoppia e per le commemorazioni della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze armate si svolge in due giornate (sabato 7 e domenica 8) con addirittura 87 interventi che potete rivedere e riascoltare nel canale Youtube cliccando qui.

La campagna di Francia del 1940: Giuseppe Nichele

Giuseppe Nichele, classe 1917, nasce a Monastier di Treviso.
Dopo la guerra si trasferisce a Mira per lavorare come addetto mensa in una delle più importanti aziende della zona, ancora oggi esistente vicino alla stazione ferroviaria. Riviera al Fronte lo intervista nell’aprile 2015 in vicinanza alla prima edizione dei Gagliardetti della Memoria, cerimonia svolta nella Sala Consiliare del Municipio di Dolo il 26 di quel mese. È stata un’intervista preziosa e raccolta in tempo considerato che di lì a poco sarebbe mancato.

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Giuseppe è il nome della famiglia: come lui si chiamavano anche il papà e il nonno. Una volta compiuti 20 anni parte per il militare, arruolato nella Guardia di Frontiera. Il primo periodo sotto le armi lo trascorre al confine con la Francia, sul Moncenisio, all’interno del forte Malamot, con il compito di controllare l’intera Val di Susa. Lì passa tutto il periodo della leva, le estati di sole ma soprattutto i tremendi inverni di neve e ghiaccio che toccavano i – 40 gradi. La sfortuna vuole che 12 giorni prima del congedo scoppiasse la guerra. Giuseppe resta quindi in divisa per combattere. Il conflitto con la Francia non si sblocca e diventa presto una “guerra tra fortificazioni!”.

Già prima delle ostilità la situazione del Regio Esercito è pessima, l’organizzazione approssimativa e le razioni di cibo scarse e mal rifornite a causa dell’alta quota. I militari sono quindi costretti a chiedere aiuto ai valligiani. Dopo la fine delle operazioni le camicie nere faranno di peggio, valicando il vecchio confine e saccheggiando tutto quello che incontravano. Il nemico è il freddo e lo sarebbe stato anche dall’autunno 1940. I militari non dispongono di un adeguato equipaggiamento da montagna e, proprio perché mal vestiti, molti sono i morti per assideramento oppure gravemente feriti per congelamento degli arti. Ciononostante le truppe della Guardia di Frontiera sono chiamate a costruire trincee e a pattugliare il bordo del lago di Moncenisio, anche sotto le bufere di neve che spesso si rivelano mortali. La forza delle bufere spinge i soldati all’interno del lago ghiacciato e molti muoiono congelati.

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La guerra contro la Francia comincia il 10 giugno 1940 e dura pochi giorni. Non avvengono grossi scontri, si lotta però con le artiglierie. I francesi, tramortiti da quello che sta succedendo con la Germania e traditi dall’Italia fascista sono ormai vicini alla capitolazione ma cercano di far saltare in aria la diga del lago di Moncenisio. Un obiettivo sensibile perché, una volta crollata, avrebbe inondato e distrutto Torino. La guerra dei forti va avanti per qualche giorno: la Francia si arrende. Quanto basta per cambiare la vita di Nichele, rimasto sordo, colpito dall’onda d’urto dello scoppio di uno dei cannoni in azione sul Malamot. La sua guerra non si conclude: dopo un periodo di licenza e di riposo a Susa, ritorna in cima come addetto alla mensa. In seguito a una ricaduta viene inviato in licenza di convalescenza per tre mesi, poi prorogata.

La guerra contro la Francia dura poco e la Storia la archivia dopo le due settimane di scontri. Ma quello che ci ha raccontato Giuseppe nell’aprile 2015 dimostra che il conflitto era proseguito sotto altre forme. Oltre alla sordità, Nichele viene colpito dal congelamento di un piede e il ferimento sul reticolato mentre stava indossando gli sci.

Dopo le ostilità sulle Alpi molti soldati vengono spostati da un fronte all’altro previo sorteggio. Alcuni dei compagni di Nichele sono assegnati alla Libia e alla Jugoslavia. Ed è proprio parlando di questi ultimi che Giuseppe si è rattristato. Tra il 1941 e il 1942 circolava una voce tra i soldati, soprattutto tra quelli destinati nei Balcani, che volevano i militari italiani giustiziati dai partigiani dopo aver bloccato i treni nelle gallerie. Una voce che Giuseppe vede trasformarsi in tragica realtà a seguito di una visita medica al distretto militare di Padova dopo l’8 settembre 1943. A visitarlo è un medico superiore, reduce anche lui dal Malamot, poi trasferito in Jugoslavia. Il dottore era diventato un’altra persona, fisicamente invecchiato, con i capelli bianchi nonostante la giovane età. Giuseppe si informa sulla fine fatta dagli amici della Francia e viene a sapere delle fucilazioni commesse dai partigiani nei confronti dei militari italiani e di altri metodi di guerriglia. Giuseppe ha la mente lucida e ricorda con profonda tristezza gli amici caduti in queste circostanze. È stato il momento più difficile dell’intervista.

Giuseppe termina l’intervista spiegando come ha conosciuto la sua Adelinda. Nell’inferno di freddo e ghiaccio i soldati avevano una via d’uscita. Il suo si chiamava, appunto, Adelinda, una madrina di guerra, cioè quelle ragazze chiamate a scrivere le lettere ai soldati al fronte. A lei scrive quello che succedeva, delle sue ferite, restando attento a non incappare nella censura militare. È un rapporto a distanza che continua anche dopo la guerra, fino a quando Giuseppe non decide di sposarla. A guerra finita Nichele inizia a lavorare nella mensa aziendale a Mira, dove si trasferisce con la famiglia. Ma non dimentica mai i giorni passati al confine con la Francia e di averli condivisi con altri fratelli. Negli anni Settanta si ritrovano in cinque con le famiglie e tornano sul Malamot. Il forte non è più agibile e quindi irraggiungibile; ma la diga, che i francesi volevano far saltar in aria, era sempre là, rialzata. Il mondo come lo conosceva lassù non era più lo stesso, ma era stata un’emozione poter ritrovare a distanza di anni i compagni di guerra.

IMG_7708Il ricordo di Giuseppe Nichele non termina qui. Prima di “andare avanti”, Riviera al Fronte ha avuto l’onore di incontrarlo per consegnargli il Gagliardetto della Memoria il 26 aprile 2015. La sezione di Borbiago dell’associazione Combattenti e Reduci lo nomina presidente onorario e un anno dopo la sua morte gli viene intitolata la biblioteca storico-militare del Centro Civico della frazione mirese.

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Don Antonio Andreazza

Don Antonio Andreazza è stato parroco di Sant’Anastasio di Cessalto di Livenza, dal 1935 al 1953. Valentina Volpe Andreazza ne è la pronipote.
Anche lungo le rive venete del fiume Livenza non manca atti di eroismo, in mezzo a conflitti e a enormi perdite di vite umane. Tra il 1943 e la primavera del 1944 riesce a mettere in salvo un numero imprecisato di prigionieri di guerra, riusciti a scappare dai campi di lavoro tedeschi di Monfalcone.

Organizza un vero e proprio centro di smistamento per salvarli e farli ritornare dalle loro famiglie, nei Paesi d’origine, ottenendo appoggio dalle famiglie contadine che abitavano nei dintorni della Canonica.

La sua famiglia abitava a Sacile. Il 1 aprile del 1944, i nazi fascisti, avvertiti da una spia, lo arrestano e lo rinchiudono a Venezia, nell’Isola di San Giorgio, con l’accusa di aver falsificato documenti per far espatriare i prigionieri.

Dopo aver subito torture ed umiliazioni, grazie all’aiuto dell’avvocato Marinoni di Venezia la pena viene commutata in un anno di reclusione presso l’ospedale psichiatrico di San Servolo.

Nell’aprile del 1945 viene liberato e ritorna a Sant’Anastasio. I parrocchiani lo celebrano con le campane a festa. Don Antonio, stanco e debilitato per le torture sia fisiche che psicologiche subite durante la detenzione, continuerà la sua opera di Parroco, concludendo i lavori della chiesa parrocchiale e impegnandosi anche nel sociale del proprio comune.

Muore nel 1953 a 48 anni.

La storia di don Andrezza viene ripercorsa da Arch Scott, un ufficiale neozelandese salvato dalla prodiga opera del parroco di Sant’Anastasio. In onore del suo salvatore, Scott chiama il figlio Don Anthony, tornato a Sacile più volte per portare un fiore sulla tomba del suo benefattore.

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Staffetta del 25 Aprile di Riviera al Fronte

Ecco a voi il programma della staffetta del 25 Aprile di Riviera al Fronte.

Per seguirci è facile:

FACEBOOK
Pagina di Riviera del Fronte: mettere il Like su https://www.facebook.com/rivieralfronte/

YOUTUBE
Canale di Riviera al Fronte, pubblico e a disposizione di tutti :
(https://www.youtube.com/channel/UCkTFZis8I5o3FdE6S-V4Keg)

PRIMA PARTE

Ore 09.00 – Ivan B. Zabeo – inaugurazione staffetta del 25 Aprile

Ore 09.15 – Paolo de Rosso – “Fratelli d’Italia”

Ore 09.30 – Antonio Fusato (Sindaco di Camponogara) – Messaggio istituzionale del Comune di Camponogara

Ore 09.45 – Davide Nalon – La Resistenza di Boscaro e Tacchetto, Brigata Gramsci, tra Camponogara e Campolongo Maggiore

Ore 10.00 – Alessandra Cescon – “Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino

Ore 10.15 – Federico Calzavara (sindaco di Pianiga) – Messaggio istituzionale del Comune di Pianiga (solo su Facebook)

Ore 10.30 – Prometeo Petrin – Francesco Petrin raccontato dal figlio Prometeo

Ore 10.45 – Sara Zanferrari – “La camelia del partigiano” di Claudia Tortora

Ore 11.00 – Mauro Manfrin – Le famiglie Velluti e Tito nella Resistenza

Ore 11.15 – Stradenote – “Benvenuto il luogo dove” di Giorgio Gaber (Youtube, canale Brentablues)

Ore 11.30 – Diego Mazzetto – Fossò liberata

Ore 11.45 – Luisa Sattin – Messaggio istituzionale del Comune di Vigonovo

Ore 12.00 – Vittorio Pampagnin – Le famiglie a protezione della lotta partigiana

Ore 12.15 – Ulderico Manani – “Altre liberazioni ancora” (solo su Facebook)

Ore 12.30 – Federica Boscaro (Sindaco di Fossò) – Messaggio istituzionale

SECONDA PARTE

Ore 13.30 – Francesco Zagolin – Il drammatico 28 aprile di Campagna Lupia raccontato da don Domenico Valente (solo su Facebook)

Ore 14.00 – Chiara Casarin – “Generale” di Francesco De Gregori

Ore 14.15 – Elena Peder – il messaggio lasciatoci da Concetto Marchesi

Ore 14.30 – Cristian Compagno – Ermes Parolini

Ore 14.45 – Daiana Menti – Le cronistorie parrocchiali: testimonianze del contributo del clero veneto alla guerra di Liberazione

Ore 15.00 – Enrico Masiero – “Bella Ciao”

Ore 15.15 – Aerei Perduti – John Hurst: un pilota salvato dai partigiani

Ore 15.30 – Agnese Barbato – “Sognando la libertà” di Antonio Noventa

Ore 15.45 – Michelle Gobbi – La donna nella Resistenza

Ore 16.00 – Matteo Barbieri – La lettera di Luigi Mascherpa

Ore 16.15 – Elisa Bonomo – “Montesole” di PGR

Ore 16.30 – Alessandra Cescon – “Ai quindici di Piazzale Loreto” di Salvatore Quasimodo

Ore 16.45 – Sara Gei – Volantino indirizzato agli studenti veneziani nella primavera del 1944

Ore 17.00 – Ivan B. Zabeo e ANPI Dolo – In memoria di Luigi Levorato

Ore 17.15 – Fiorenzo Andreatta – “La resistenza e la vita nella società Miranese” di Martino Lazzari

Ore 17.30 – Giuliano Pasqualetto – “Ricordi della Liberazione” di Luigi Meneghello

Ore 17.45 – Antonio Giacomini – Il diario ritrovato

Ore 18.00 – Elena Baldan – “La guerra di Piero” di Fabrizio De André

Ore 18.15 – Caterina Cacciavillani (Sindaco di Stra) – Messaggio istituzionale del Comune di Stra

Ore 18.30 – Davide Nalon – Gli aviolanci su Premaore

Ore 18.45 – Ivan B. Zabeo – In memoria di Romeo Isepetto

Ore 19.00 – Enrico Moro – Piero Calamandrei, discorso sulla Costituzione (26 gennaio 1955)

Ore 19.15 – Antonio Draghi – In ricordo di Giorgio Bellavitis, il partigiano Walt Disney (solo su Facebook)

TERZA E ULTIMA PARTE

Ore 20.45 – Flavio Giantin – Esperienze di resistenza tra Fossò e Camponogara

Ore 21.00 – Andrea Cracco e Hilarius – Luigia

Ore 21.15 – Cristian Masci – L’eccidio di Villa Pisani a Stra

Ore 21.30 – Giampaolo Zampieri – Il perdono. Mion, Badin e Boffo e i partigiani dolesi

Ore 21.45 – Ivan B. Zabeo e Riviera al Fronte – Il 14 gennaio 1945 e saluti conclusivi

Ore 22.00 – Valentina Volpe – “Fratelli d’Italia”

Buon 25 Aprile
W la Liberazione
W l’Italia

25 aprile

Il lato oscuro dello sbarco sulla Luna. Wernher von Braun, Peenemunde, Mittelbau-Dora

20 luglio 1969: il sogno dell’intera umanità di mettere il primo piede sulla Luna diventa realtà. Un’impresa straordinaria che oltre a decretare “un grande passo per l’umanità” segna un punto a favore degli Stati Uniti nel confronto della corsa allo spazio con l’Unione Sovietica.
Una lotta partita da lontano e che inizia in Germania perché l’autore di questo successo nasce proprio nel cuore dell’Europa: Wernher con Braun. Figura intelligente ma allo stesso tempo accusato di essere un criminale di guerra.

WERNHER VON BRAUN: I NATALI

Von Braun nasce in una famiglia aristocratica nel 1913 in una città che oggi appartiene alla Polonia ma che prima della guerra mondiale era tedesca. Nel 1919 parte del territorio del Reich passa in mano alla nuova nazione polacca e migliaia di tedeschi emigrano verso ovest. Tra questi anche i von Braun, trasferitisi a Berlino. Il giovane Wernher viene inviato a studiare nelle migliori scuole e università della nuova Germania. Dopo esser stato a Weimar, la capitale della Repubblica postbellica, ritorna a Berlino per frequentare l’università. Sin da bambino von Braun si appassiona molto alle teorie che avrebbero portato qualche anno più tardi alla conquista dello spazio e, quindi, allo sviluppo di tecnologie per raggiungerlo. Diventa da subito uno dei principali studiosi sui razzi, tanto che riesce egli stesso a produrne qualche esemplare.

PEENEMUNDE E VON BRAUN NAZISTA

La scienza si incrocia con la politica e in questo caso con la grande storia: la debole repubblica di Weimar crolla quando il passo al Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler prende il potere nel 1933 assumendo, dopo la morte del Presidente della Repubblica von Hindenburg, pieni poteri assoluti. Il piano del nuovo governo è quello di riarmare la Germania stracciando i vincoli militari imposti dal Trattato di Versailles del 1919. Ma un capitolo era stato escluso dal trattato, quello legato allo sviluppo di razzi a uso militare. E quindi è ovvia l’attenzione rivolta dal nuovo Reich verso questo campo di ricerca. Von Braun diventa uno degli scienziati di spicco.
La voglia del Führer di sviluppare questa scienza arriva con costruzione della base di Peenemunde, porto sul Baltico ma cittadina tranquilla e ideale per svolgere al meglio le ricerche. In questa base i nazisti produrranno gli strumenti di propulsione per aerei da caccia e a reazione della Luftwaffe.
Von Braun era famoso, un barone; ma il partito nazista gli suggerisce di fare un passo in più perché una delle menti più acute del Reich non poteva permettersi di non essere iscritto al partito nazista. Nel 1937 quindi viene “invitato” a iscriversi; e nel 1940, a guerra appena cominciata, diventa ufficiale delle SS, arrivando a ricoprire addirittura il grado di Maggiore nel 1943.
Le ricerche condotte dal barone von Braun e dal suo staff arrivano gradualmente a concludersi e l’acuto finale è il lancio dei famosi missili V2, fatti volare nel cielo di Londra e, di conseguenza, esplodere sulla città, all’inizio del settembre 1944. Inizia una nuova fase di terrore per gli inglesi, che si vedono piovere improvvisamente dei missili capaci di provocare gravi distruzioni. Il Führer pensa di avere in mano un’arma capace di capovolgere il destino della guerra, ma il V2 è ancora un progetto con diverse lacune tanto che molti esploderanno in cielo prima di arrivare all’obiettivo o avranno problemi ancora prima del lancio.
Per von Braun si tratta comunque di una vittoria importante, ma non riuscirà ad assaporarla appieno: il suo sogno era quello di portare l’uomo nello spazio, a mettere il piede sulla Luna e, perché no, anche su Marte. Una visione che non piaceva al nazismo, più concentrata a vincere la guerra ormai perduta. Nel marzo del 1944 von Braun viene arrestato dalla Gestapo per cimini contro lo stato con l’accusa di distrarre le sue conoscenze militari per la fantasiosa conquista dello spazio. Albert Speer e il direttore di Peenemunde, Walter Dornberger, riescono a ottenerne la scarcerazione per via del suo importante contributo in favore della macchina bellica.

IL MASSACRO DEL CAMPO DI MITTELBAU-DORA

Il lato più brutale, orribile, nella rincorsa alla costruzione dei missili a reazione e che macchierà indelebilmente la vita di von Braun sta nello sfruttamento dei prigionieri, in particolare dell’Europa Orientale, rinchiusi nel campo di concentramento di Mittelbau-Dora, in Turingia. Qui i prigionieri, alcuni dei quali provenienti da Buchenwald, erano costretti a lavorare forzatamente e in condizioni disumane come schiavi. Prima per costruire nel cuore della montagna dell’Harz i tunnel per la produzione dei missili e poi, la produzione stessa delle armi. Internet ci consegna diverse testimonianze sulla tragedia di Mittelbau-Dora, ma solo qualche fonte si azzarda a dare una cifra ufficiale sulle vittime. Wikipedia riporta la morte di 12 mila unità, anche se alla fine per varie altre cause si conteranno 20 mila morti, tra questi anche quelli provocati dal bombardamento da parte degli inglesi all’inizio dell’aprile 1945.

https://www.facebook.com/raistoria/videos/mittelbau-dora-lultimo-campo-di-concentramento-costruito-dai-nazististasera-alle/10155280499282565/

https://www.avvenire.it/agora/pagine/dora

Von Braun era stato considerato uno dei responsabili di questa tragedia, uno dei diversi criminali di guerra che sarebbe dovuto finire davanti alla Corte di Norimberga del 1946. Ma la ragion di stato (americana) e l’inizio della Guerra Fredda portava il barone a scampare al processo assieme a tanti altri suoi colleghi. Nella primavera del 1945 Peenemunde sta per essere presa dai russi. Piuttosto che cadere nelle loro mani, assieme ad altri del suo staff decide di percorrere la Germania e farsi arrestare dagli americani, consegnando loro anche i progetti originali.

LA CARRIERA IN AMERICA E LO SBARCO SULLA LUNA

In pochi mesi gli artefici degli studi di Peenemunde vengono trasferiti in America grazie all’operazione segreta Paperclip. La Guerra Fredda era cominciata ufficialmente dal momento in cui i sovietici avevano issato la bandiera con la falce e il martello sul Reichstag e con essa partiva anche la corsa allo spazio. Il vantaggio di Mosca era soprattutto materiale grazie al bottino di guerra fatto in strumenti e di parte dei razzi di proprietà tedesca; gli americani vantavano di avere il principale progettista dei missili ma il tutto doveva essere progettato quasi da zero. Von Braun inizia a lavorare in un clima non facile: non solo ambientale, visto il passato da ex nazista, ma anche per la sfida interna tra il dipartimento dedicato allo sviluppo delle armi balistiche, in cui lavorava lo scienziato tedesco, e la Marina Militare, che stava lavorando a un suo progetto parallelo. Questo “derby” non fa altro che portare i russi ad assumere un vantaggio importante e a lanciare Sputnik I, il primo satellite nello spazio: è il 1957.
Il Presidente Eisenhower non accetta lo smacco: da un lato chiede ai suoi scienziati un’accelerazione sulla produzione del satellite, dando allo scienziato tedesco e alla sua agenzia l’ordine di proseguire come principale punto di riferimento in materia – e l’ordine viene esaudito con la spedizione nello spazio di Explorer I nel gennaio 1958 – e dall’altro porta a fondare la NASA, di cui von Braun sarà il primo direttore nel 1960. Quello che avviene dopo – la ricerca e la progettazione di navicelle spaziali capaci di trasportare uomini nello spazio dando loro la possibilità di mettere piede sulla Luna – è storia ricordata da tutti in questi giorni legati alle celebrazioni dei cinquant’anni dall’allunaggio.

Articolo scritto per la Marcia dei Storti 2019

Nell’edizione 2018 della Marcia dei Storti avevamo raccontato i momenti più drammatici vissuti dalla Riviera del Brenta tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Quest’anno facciamo luce sui protagonisti e sulle esperienze più importanti avvenute tra il 1943 e il 1945.

LUIGI LEVORATO, GIOVANNI MION E ROMEO ISEPETTO

luigi levorato
Luigi Levorato

Luigi Levorato, Giovanni Mion, Mario Badin e Romeo Isepetto sono tra i protagonisti più importanti della guerra di liberazione. Luigi Gigetto Levorato, classe 1897, reduce della Grande Guerra, socialista, era stato protagonista del Biennio Rosso. Nel 1922, anno della presa del potere di Mussolini, scappa con la famiglia a Modena e diventa uno dei leader del Partito Comunista clandestino; arrestato alla fine del 1926, è confinato sull’isola di Ustica perché ritenuto complice indiretto di un complotto contro il Duce. Rilasciato nel 1932 e debilitato fisicamente, torna a Dolo nel 1940. Dopo l’8 settembre 1943 è uno dei leader della resistenza locale e aiuta ex prigionieri di guerra alleati alla fuga. Nell’estate 1944 “Gigetto” è arrestato: deportato a Linz, in un campo satellite di Mauthausen, lavora per ricostruire le infrastrutture militari distrutte. Levorato sopravvive: tornato a casa, diventa segretario del Partito Comunista locale e assessore ai Lavori Pubblici, ma rifiuta la candidatura a sindaco per le elezioni del 1951. Muore nell’aprile 1958 e ai suoi funerali partecipano i massimi esponenti del PCI nazionale.

Giovanni Mion
Giovanni Mion

Mentre Levorato è prigioniero, Giovanni Mion, Mario Badin e altri partigiani ragionano sul futuro postbellico. Mion, dolese classe 1916, dopo l’8 settembre 1943 diventa il punto di riferimento della resistenza locale, intrattenendo rapporti con gli alleati e collaborando per metterne diversi in salvo. Ma viene tradito da uno di questi: un soldato sudafricano, nascosto a Pianiga, si ubriaca ed entra in contatto con i giovani fascisti locali: interrogato, il boero lo denuncia. Mion si rifugia a Vigonza per scappare alle Brigate Nere ma si consegna subito per evitare la distruzione della casa. All’inizio del 1945 viene incarcerato a Dolo assieme ad altri amici, tra questi Mario Badin: è proprio quest’ultimo a convincere Mion e gli altri carcerati a terminare la spirale d’odio ed evitare qualsiasi spargimento di sangue. Loro sono di un altro stampo e il compito principale era ricostruire presto il paese. Giovanni viene liberato in aprile, giusto in tempo per partecipare allo sminamento dei ponti e agli ultimi scontri – alcuni avvenuti lungo il percorso della Marcia – che portano alla Liberazione del 29 aprile.

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Romeo Isepetto

Romeo Isepetto è l’organizzatore della prima operazione partigiana e che avviene a Mira il 9 settembre 1943. In questa data Isepetto, assieme ad alcuni volontari, occupa il municipio mirese. I Carabinieri intervengono subito. Isepetto e Barzoni vengono arrestati e condotti alle carceri di Dolo. Per evitare una rivolta popolare, dopo pochi giorni sono trasferiti a Venezia. Nell’estate 1944 Isepetto viene internato a Mauthausen. Sopravvissuto alla prigionia e rimpatriato nel giugno 1945, fonda la Guardia Civica per arginare i disordini e diventa una figura fondamentale per i compagni del PCI. Inoltre continua la sua attività di pescatore nella laguna tra Mira e Campagna Lupia, aiutando le famiglie povere e colpite dai lutti della guerra con la pesca di frodo. Isepetto muore il 17 agosto 1947 a causa di una esplosione mentre si trova in barena. Dopo i funerali la sua storia cade nell’oblio, fino a quando Vittorio Pampagnin e altri storici locali studiano la sua vita e depongono una stele commemorativa a Giare di Mira nell’aprile 2015.

ALCUNI EVENTI TRA IL CENTRO DI DOLO E LA SERIOLA

La “Beffa del Dolo” è l’evento più sorprendente e incredibile messo a segno dalla resistenza locale. Viene compiuta da 44 uomini della Brigata Negri, provenienti da Santa Maria di Sala, Campolongo Maggiore e Sant’Angelo di Piove di Sacco. L’operazione, organizzata dal parroco di Caltana don Antonio Pegoraro e condotta da Antonio Ranzato, avviene nella notte del 26 maggio 1944: la Brigata assalta le sedi militari e politiche della RSI nel cuore di Dolo. In due ore vengono accerchiate le caserme dei Paracadutisti (una costruzione che oggi non esiste più e che era localizzata a fianco dell’attuale municipio) e dei Bersaglieri (vicina al Cinema Italia). Il colpo più importante viene compiuto ai danni di questi ultimi, quando pochi uomini ne mettono in scacco 180. Il tutto avviene senza sparare un colpo ed ecco perché si parla di beffa. Il bottino è di 150 fucili, sei mitra Beretta, due macchine da scrivere e una radio, materiale trasportato nel cimitero di Caltana e qui nascosto.

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Il cippo dedicato a Aldo Cacciola, pilota da caccia dell’Aeronautica Repubblicana, posto lungo la Seriola a Dolo

Lungo la Seriola la resistenza dolese compie sabotaggi alle linee telefoniche ma nell’estate 1944 tali attività sono sospese per via di un incidente avvenuto il 6 luglio al Sottotenente dell’Aeronautica della RSI, Pietro Aldo Cacciola, appartenente al 1° Gruppo Caccia dell’aviazione nazionale Repubblicana con base a Vicenza. Dalla città berica Cacciola, messinese, classe 1923, si alza in volo con il suo FIAT G.55 Centauro per un addestramento. Un guasto meccanico fa precipitare il velivolo e il giovane muore sul colpo.

Autori:
Ivan Bruno Zabeo (Riviera al Fronte); Vittorio Pampagnin; Corrado Mion (Anpi Dolo), Roberto Cimarosti. Per la foto del cippo si ringrazia Antonio Vittorio Giacomini.

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