Pelizza Giuseppe era figlio di Umberto e Menegazzo Maria.
Nato a Camponogara il 20 marzo 1922, al momento della chiamata alle armi risultava essere celibe e residente nel paese natale in Via Casino Rosso n. 16.
Al momento della visita di leva, avvenuta il 10 marzo 1941, venne registrato con la matricola 11.009 e segnalato come agricoltore istruito. Dopo un periodo di congedo dal servizio, venne richiamato il 21 gennaio 1942 ed inviato alla Scuola Applicazione Artiglieria e Genio (1° Btg.) di Torino, in territorio dichiarato in stato di guerra; trasferito a Casale Monferrato (AL) presso il Deposito del 1° Rgt. Artiglieria di Corpo d’Armata, 155° Gruppo, 29a Batteria, tra il settembre 1942 ed il marzo 1943 prese parte a diversi corsi abilitativi che lo portarono a conseguire i certificati d’idoneità valevoli per la guida di autocarri ed automezzi militari quali i modelli Fiat Medio, Fiat 18 B.L.R. e Bianchi.
Il 1° aprile 1943 venne assegnato al 1° Rgt. Artiglieria di Corpo d’Armata mobilitato ed inviato ad operare in Francia il 1° maggio.
Con la caduta del regime fascista, l’8 settembre 1943 venne catturato dalle truppe tedesche e deportato in Germania. Internato con la matricola n. 569, in data 19 novembre 1943 scrisse ai genitori la seguente lettera destinata agli internati:
“Carissimi genitori il mio stato di salute è ottimo così vorrei sperare anche di voi. Anzi molto desiderio di sapere di notizie di mia Mamma. Non datevi pensiero di me iomi trovo bene [segue un’altra riga sbiaditasi nel tempo]”
A causa dei patimenti provati nel Lager – indicato con un generico “M. Stammlager V. C.” – si ammalò di tubercolosi polmonare bilaterale aperta decedendo il 31 luglio 1944. Venne quindi sepolto nel cimitero di Nagold, settore XXIV, tomba n. 22 ed in seguito traslato nel Cimitero Militare Italiano d’Onore (Walfriedhof) di Monaco di Baviera negli anni 1968.
Dopo l’avvio di una complessa trattativa, per volontà degli eredi le spoglie mortali di Giuseppe sono finalmente rientrate in Italia, venendo sepolte nel cimitero di Vigonovo l’11 ottobre 2008.
Insignito della Medaglia Commemorativa della Campagna di guerra 1943-1944; Croce al Merito di Guerra 1940-1945; Croce al Merito di Guerra in qualità di deportato.
NOTE: è importante precisare che al deportato non era possibile fornire indicazioni sul luogo in cui si trovava e ciò spiegherebbe il motivo dell’indicazione generica di “Stammlager“. Data la località di sepoltura, è probabile si trovasse nel lager di Nagold, uno dei tanti sottocampi presenti in Germania.
Fonti:
Foglio Matricolare 11009/1922
Articolo de “Patria Indipendente” del 14 dicembre 2008, anno XII
Documentazione conservata presso la fam. Pelizza di Vigonovo, che si ringrazia per la partecipazione.
Venerdì 2 dicembre, alle ore 21.00, presso il teatro comunale di Pianiga andrà in scena la recita teatrale Una storia qualunque. Recita che nasce da un progetto, voluto e realizzato dalla classe III A dell’istituto comprensorio Giovanni XXIII di Pianiga, coordinati dai docenti Germana Groppi e Riccardo Abati.
I 17 ragazzi della classe ci racconteranno la storia di Antonio, detto Toni, un ragazzo della Pianiga del 1914, che riceve a casa una lettera da parte dell’Esercito. Toni deve partire per la leva con la disperazione della madre e del fratello sacerdote. Nel frattempo scoppia la guerra in Europa. Cosa succederà al giovane Toni?
Si tratta di una storia che lascerà lo spettatore incollato alla sedia. La cosa bellissima è che sono i ragazzi delle scuole a impersonare quelli che erano i loro bisnonni, che nel giro di qualche mese sono passati dalla vita tranquilla al massacro della Prima Guerra Mondiale. E’ un progetto che ha permesso ai ragazzi di conoscere la storia del conflitto, della vita dei soldati ma ah permesso anche di scoprire una Pianiga d’altri tempi grazie al recupero di foto e di materiali d’archivio interessanti.
Una storia qualunque sarà il penultimo appuntamento della mostra Grande Guerra. Memorie di dolore e solitudine, opsitata nei locali del Comprensorio Giovanni XXIII di Pianiga. L’esposizione chiuderà i battenti domenica 4 dicembre alle ore 19.
Quarto appuntamento con la Storia della Prima Guerra Mondiale, lungo il percorso che stiamo intraprendendo a Pianiga con la mostra Grande Guerra. Memorie di dolore e solitudine e che si sta riveando un gran successo.
Al teatro comunale di Pianiga, alle ore 21, saranno lette al pubblico lettere scritte dai veri protagonisti della guerra, i nostri nonni in divisa, che racconteranno il dolore e la sofferenza che stavano vivendo in trincea, lontani da casa e dagli affetti. Voci dalla Grande Guerra è anche musica: le letture saranno intervallate da canti popolari e di guerra molto toccanti.
La serata è organizzata grazie alla collaborazione tra l’associazione Riviera al Fronte e il coro Fiori de Suca di Borbiago, diretto da Monica Giori. Una collaborazione sorta già l’anno scorso in occasione della mostra dedicata alla Prima Guerra Mondiale a Borbiago e che prosegue dopo il grande successo ottenuto.
Introduzione di Ivan B. Zabeo (Presidente Riviera al Fronte); lettori: Gloria Gallo e Ivan B. Zabeo
Sopra: momento di Voci dalla Grande Guerra, centro civico di Borbiago, 7 novembre 2015 (Credits: Alice Boscolo)
Terzo imperdibile appuntamento legato alla mostra Grande Guerra. Memorie di Dolore e Solitudine. Il protagonista è il teatro, il tema sta assumendo contorni sempre più importanti e anche Riviera al Fronte sta iniziando ad avvicinarsi: il ruolo della donna nella Grande Guerra.
“La Foto“, questo è il titolo della rappresentazione presentato dall’associazione artistica Teatro delle Ortiche di Padova e che sarà messo in scena alle ore 21 di venerdì 18 novembre presso il teatro comunale di Pianiga.
Come presenta lo stesso gruppo teatrale:
“La Foto” non è semplicemente un dramma sulla guerra ma, soprattutto, un’analisi della donna che combatte continuamente le sue guerre, grandi o piccole che siano, perché ogni cosa che un prezzo ma quello che si chiede di pagare alle donne è sempre alto. Tre donne, tre sorelle, tre modi diversi di vivere la guerra…con la consapevolezza che niente sarò come prima
Questo, inoltre, è anche un omaggio alla città di Padova, colpita un secolo fa esatto, da un catastrofico bombardamento austroungarico e che ha portato alla morte di 93 civili.
Come accennato in testa alla presentazione, anche Riviera al Fronte comincerà a lavorare sul tema della donna durante il primo conflitto mondiale. A tal proposito, stiamo cercando di arricchire il nostro archivio: per il momento abbiamo recuperato alcune informazioni grazie ad alcuni doccumenti ritorvati nell’archivio storico di Mira, ma crediamo che molto possa essere recuperato anche tra i ricordi di famiglia.
Ovviamente l’invito che vi rivolgiamo è di contattarci per conoscere il progetto ma anche di entrare in contatto con noi per collaborare. Uno scambio di vedute è, nel nostro caso, sempre ben accetto.
Stava è un piccolo paesello che fa parte del Comune di Tesero (TN), incastonato in una vallata scavata nei secoli dal Rio Stava che ha poi dato il nome alla vallata.
Da almeno due secoli questi luoghi sono la méta turistica di migliaia di persone all’anno, data la bellezza dei luoghi, dei paesaggi e, da alcuni decenni, dalle possibilità che, a livello turistico estivo e invernale, vengono proposte a chi viene a visitare la valle.
Da secoli, inoltre, la vallata è utilizzata per scopi minerari e le miniere di fluorite, un minerale molto utilizzato in metallurgia. Le miniere, quindi, oltre che a servire per l’industria metallurgica da secoli, danno anche da vivere a molti residenti della zona.
La vita è tranquilla e regolare, nessun evento di particolare rilevanza si è mai registrato in loco. Se si esclude la recente tragedia del Cermis, caso che qui non viene trattato.
All’improvviso, tuttavia, la situazione di tranquillità apparente iniziò a cambiare.
Nella prima metà degli anni ’70 del Novecento, in Italia il boom economico prosegue tra ottime iniziative e tristi sciagure come quella del Vajont avvenuta nel 1963. Il turismo è in crescita e le prospettive future sono di aumento del benessere economico e sociale.
Perché allora preoccuparsi? Perché cercare qualcosa di negativo in questo paradiso?
Siamo nel 1974.
A Stava le miniere proseguono la loro attività accumulando enormi depositi di materiale inerte misto ad acqua in due bacini di decantazioni sovrapposti, realizzati ed ingranditi tra il 1961 ed il 1969, separati e protetti da due terrapieni che, nel tempo, sono stati progressivamente innalzati. Il problema, però, è che i terrapieni non sorgono alla base della vallata, ma a monte, sovrastando, seppur da lontano, i paesi di Stava e di Tesero.
Negli uffici del Comune di Tesero, tuttavia, iniziano a venire dei dubbi sulla sicurezza e, giusto per avere delle garanzie per la vallata, i residenti ed i turisti, vengono richieste conferme sulla sicurezza statica della discarica.
L’anno dopo, il 1975, la Fluormine, la ditta concessionaria che a nome del gruppo Montedison gestiva la miniera, dietro incarico del Distretto Minerario della Provincia Autonoma di Trento, esegue la verifica. Il responso è rassicurante. Pur essendo la stabilità dei terrapieni al limite e pendenza dell’argine del bacino superiore eccezionale, la risposta è comunque positiva. Questa rassicurazione porta quindi ad un accrescimento ulteriore dell’argine, riducendone nel contempo la pendenza.
Nella sostanza era stato richiesto, a chi era nel torto, di fare i controlli e di dimostrare di avere tutte le carte in regola per poter continuare a svolgere la propria attività!
Passò il tempo. Tra il 1978 ed il 1985 la miniera passò dal gruppo Montedison ad EGAM, quindi ad ENI e, infine, alla società Prealpi Mineraria. I problemi legati ai bacini rimasero e, anzi, pur lasciando forti dubbi sulla loro staticità, continuarono ad essere sfruttati.
Arriviamo al 19 luglio 1985. È mezzogiorno passato, molti sono nelle loro case per l’ora di pranzo, i turisti visitano la vallata a piedi o si apprestano ad andare nei ristoranti, se già non ci sono.
All’improvviso, il bacino di decantazione, quello che tra i due ha sempre dato maggiori preoccupazioni in fatto di stabilità, collassa. Sulla sua strada trova ovviamente il secondo bacino che, già instabile, cede anch’esso sotto il peso della massa di fango e limi che, in un’ondata di 183.000 m3, discendono lungo la vallata alla velocità di 90 km/h travolgendo alberi e strutture che, ovviamente, frammischiati alla massa fluida, ne ingigantiscono la potenza e ne fanno aumentare il danno.
In pochi minuti, raggiunta Tesero e la base della vallata, tutto si esaurisce. Il Rio Stava è coperto di fango, Stava stessa è stata cancellata. Rimane un mare fangoso e silenzioso che lentamente va asciugandosi.
Scattano i soccorsi, a decine, centinaia accorrono i volontari e gli uomini dell’Esercito che, meticolosamente, frugano nel fango alla ricerca di feriti, dei sopravvissuti, ma anche dei dispersi. Non è chiaro quanti siano scomparsi, quanti residenti e quanti turisti manchino all’appello. Gli hotel e le case dove risiedevano, forse anche gli amici e i parenti sono semplicemente stati sepolti dall’ondata di fango.
Alla fine delle operazioni si contano 268 vittime, di cui 71 rimaste ignote. Tra i morti, numerosi sono i turisti e tra questi alcuni provenivano dalla Riviera del Brenta o dalle zone limitrofe. I loro nomi:
coniugi BERATI CESARE (n. 28/09/1919) e BASSANELLO RENATA (n. 07/01/1927), residenti a Mira;
coniugi GIACOMELLI GIUSEPPE (n. 19/11/1929) e ROSSETTO GIOVANNA (n. 26/10/1939), residenti a Padova;
GOTTARDI LUCIA in GUADALUPI (n. 31/10/1909), residente a Venezia, e suo nipote GUADALUPI ANDREA (n. 28/07/1971), residente a Spinea;
coniugi MIALICH MARCELLO (n. 11/04/1917) e MANTOANELLO ERNESTA (n. 29/03/1923), residenti a Venezia;
coniugi SCREMIN ALESSANDRO (n. 06/03/1913) e TOSON NOEMI (n. 06/05/1912), residenti a Busa di Vigonza;
Tesero oggi è tornata alla normalità. Anzi, è migliorata. Spariti i bacini e ricostruiti i paesi, si è sviluppata una migliore coscienza verso la natura ed il rapporto che l’uomo dovrebbe avere con la stessa. Come appurato nei processi che si ebbero dopo la catastrofe, era chiara e lampante la cecità e la complicità delle Amministrazioni Pubbliche e delle aziende in quello che stava avvenendo; le sentenze emesse sollevarono però le polemiche, relativamente alla loro incisività.
Oggi tesero è ancora un centro per turisti, così come la nuova Stava, affacciata in una vallata riconsegnata alla natura e agli alberi che d’autunno la inondano di colori.
Lì, lungo la strada che risale la vallata, sorge una chiesetta dedicata alla sciagura, affacciata sulla valle e “protetta” da un monumento che il Comune di Vajont, sentitosi accomunato dal triste destino, volle donare al paese, per ricordare quanto non dovrebbe più succedere ancora.
A Stava, infine, è sorta la “Fondazione Stava 1985 onlus” (www.stava1985.it), voluta e realizzata dai parenti e familiari od amici delle vittime, il cui fine è quello di non dimenticare e di sensibilizzare la popolazione ed i turisti, anche se solo di passaggio, su quanto sia indispensabile rapportarsi con il territorio e le popolazioni in maniera corretta.
Vicende e protagonisti de L’Amministrazione Comunale di Saonara negli anni della Prima Guerra Mondiale sono accuratamente ricostruiti da Mattia Massaro in questo saggio storico che si avvale di una corposa documentazione d’archivio a carattere inedito. La vita amministrativa del Comune di Saonara e della sua popolazione – negli anni compresi tra il 1910 e il 1918 – è delineata attraverso una sintesi che, nell’alternarsi di elementi di particolare interesse e novità, vede il confluire di tre diversi piani. Sono così presi in esame, in un rapporto dialettico tra locale e generale, gli aspetti relazionali del Comune di Saonara con lo Stato e i comuni a esso limitrofi; i gruppi di potere susseguitesi nel corso della storia e i loro ruoli all’interno della vita amministrativa del Comune.
Infine, quale terzo e più significativo piano d’indagine, si è riservato spazio agli abitanti di Saonara che hanno combattuto nella Prima GUerra Mondiale riportando la lista dei caduti e, ancor più, passando in esame i loro dati anagrafici per rilevare i ruoli ricoperti nell’esercito, i reggimenti di appartenenza, le date, i luoghi e le cause di morte dei caduti saonaresi. Un’attenzione particolare è stata poi riservata ai combattenti sopravvissuti alla Grande Guerra e ai premiati al Cavalierato di Vittorio Veneto. Il volume è corredato da un ricco apparato di documentazione fotografica in bianco e nero e a colori che ne integra e completa la lettura.
L’AUTORE
Mattia Massaro (Padova, 1983) è laureato in Scienze Sociologiche e in Scienze del Governo e Politiche Pubbliche presso l’Università degli Studi di Padova. Nel 2010 si è qualificato al secondo posto nella 2^ edizione del concorso “Gli studenti universitari incontrano il professore Gino Giugni” promosso da SPI-CGIL Veneto e nel 2012 ha pubblicato “Gino GIugni. Riflessioni sul mondo del lavoro” (CLEUP). E’ stato inotre vincitore della 4^ edizione del concorso di poesie “Rosanna Perri“
Al termine di una laboriosa opera di ricerca d’archivio, viene presentato al pubblico il libro Dolesi al fronte. La Prima guerra mondiale di Ivan Bruno Zabeo, presidente dell’associazione Riviera al Fronte. Il libro, il primo della collana Riviera al Fronte, edita grazie alla casa editrice Mazzanti, presenta le prefazioni del Sindaco della Città Metropolitana Luigi Brugnaro, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Dolo Matteo Bellomo e del Prof. Antonio Varsori della Facoltà di Scienze Politiche a Padova.
L’opera vede il patrocinio del Comune di Dolo ed è stata stampata grazie all’aiuto di Banca Mediolanum, sede di Camponogara, e di Curiotto Arredamenti di Sambruson.
Il libro racconta le storie dei 186 soldati del comune di Dolo caduti durante la Grande Guerra e affronta anche le cause e le conseguenze del conflitto, oltre a offrire un focus sulla storia del territorio tra il 1915 e il 1918.
Durante le presentazioni è possibile acquistare il libro; in alternativa è acquistabile presso l’edicola Stradiotto Cav. Umberto (Dolo, Via Mazzini) e presso l’edicola Muta (Dolo, Via Cairoli). Il ricavato dell’operazione sarà destinato al reparto di pediatria dell’Ospedale di Dolo per l’acquisto di monitor per controllare il battito cardiaco dei bambini.
L’AUTORE
Ivan Bruno Zabeo, nato a Dolo il 23 luglio 1986, si è laureato in Politica Internazionale e Diplomazia a Padova ed è stato fondatore e presidente dell’ass.ne “Riviera al Fronte“.
Aggirandosi tra i cippi presenti nel parco delle rimembranze di Vigonovo si possono leggere i nomi di 99 cittadini vigonovesi periti durante le guerra del 1915-1918, 1936-1939 e 1939-1945. Ma tra essi, inoltre, si potrà trovare un cippo particolare.
I meno giovani sicuramente conosceranno i fatti che si celano dietro questo cippo ma i più giovani, tra cui chi scrive, probabilmente no.
Sorgato Giovanni, vigonovese nato il 17 ottobre 1925, era un reduce della Seconda Guerra Mondiale che, al termine del conflitto, scelse la via dell’emigrazione nella speranza di un futuro migliore, conscio dei sacrifici che avrebbe dovuto affrontare nella vita.
L’Italia, uscita prostrata dal conflitto, viveva in un limbo segnato dalla ricostruzione, dalla stagnazione economica e da una ripresa tutt’altro che sorprendente. La via di fuga da questa situazione fu quindi, per moltissimi italiani, la via dell’emigrazione verso l’Europa ed il resto del mondo.
Come si legge sul cippo, egli morì l’8 febbraio 1956.
Cosa successe quel giorno? E perché Giovanni è ricordato tra i caduti di guerra?
Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto leggere la placchetta in ceramica che, oltre a riportarne la foto, cita:
“MEDAGLIA D’ORO MERITO CIVILE 8 FEBBRAIO 1956 QUAREGNON
(BELGIO)“
Che accadde dunque a Quaregnon in quell’anno, tanto da dare la possibilità a Sorgato Giovanni di ottenere una Medaglia d’Oro, certamente postuma, al Merito Civile?
Quaregnon, così come altre località belghe, è una cittadina mineraria dove l’estrazione del carbone aveva ripreso a grandi ritmi a partire dal 1945 e dove la manodopera in miniera era fortemente richiesta.
Il Belgio, dunque, in base ad un trattato con l’Italia stipulato il 23 giugno 1946, prevedeva l’assunzione di 50.000 lavoratori di età inferiore ai 35 anni, che sarebbero partiti dall’Italia a gruppi di 2000 a settimana. In cambio di questa manodopera, l’Italia avrebbe ottenuto una fornitura di carbone annuale, a prezzi preferenziali, per un introito pari a 2-3 milioni di tonnellate.
Giovanni, quindi, faceva parte di questa massa di operai che partirono alla volta del Belgio per trovare lavoro e sperare, un giorno, di poter vivere una vita felice con la propria famiglia.
La vita in miniera non era tuttavia facile: turni massacranti di 8 ore, nessun contatto con il mondo esterno, insalubrità dell’aria, lavoro sottoterra alla luce di lampade al carburo o elettriche, ed incidenti periodici che causavano un numero elevatissimo di morti sul lavoro.
L’8 febbraio 1956, al Rieu du Coeur a Quaregno, si verifica l’ennesima sciagura, presto messa in ombra dalla non lontana sciagura di Marcinelle, sempre in Belgio, avvenuta l’8 agosto dello stesso anno.
A circa 815 m di profondità si verifica un crollo di una parte della galleria in cui Giovanni ed altri otto minatori (di cui solo uno non italiano) stavano lavorando. Il cedimento di una parete, forse anche connesso ad una fuga di gas, avevano ostruito l’unica via che i minatori potevano percorrere per tornare in superficie. A quel punto la riserva d’aria si esaurisce e, nelle profondità della miniera, gli otto uomini muoiono uno a uno per asfissia.
Questa tragedia irrita il Governo italiano che blocca l’assunzione di minatori italiani da parte del Belgio, pur permettendo a coloro che già lavoravano nel Paese di rimanere nelle miniere locali.
Con la Legge n. 658 del 20 giugno 1956 lo Stato italiano istituì la decorazione “al Merito Civile” che, all’art. 1, decretava: “È istituita una ricompensa al merito civile, intesa a premiare le persone, gli Enti e i Corpi che si siano prodigati, con eccezionale senso di abnegazione, nell’alleviare le altrui sofferenze o, comunque, nel soccorrere chi si trovi in stato di bisogno.”.
Fu solamente il 13 febbraio 2007 che Giovanni ebbe conferita la medaglia con la seguente motivazione: “Lavoratore emigrato in Belgio, in seguito alla tragica esplosione di gas verificatasi nella miniera di Quaregnon, perdeva la vita, insieme ad altri sei connazionali, per asfissia e per il crollo di una parte della galleria, a circa ottocentoquindici metri di profondità. Luminosa testimonianza del lavoro e del sacrificio degli italiani all’estero, meritevole del ricordo e dell’unanime riconoscenza della Nazione tutta. 8 febbraio 1965 – Quaregnon (Belgio)“. Insieme a lui vennero inoltre ricordati e premiati i suoi compagni, periti anch’essi a Quaregnon:
CACCIONI Giuseppe
DIVARANO Alfredo
PAVONI Costantino
PAVONI Sante
PINTORE Giuseppino
SCANDONE Giovanni
A seconda dei dati, tra il 1946 ed il 1956, nelle miniere belghe morirono tra i 650 e gli 868 lavoratori italiani.
La Brigata “Marche” riporta nel suo diario una data che la segnò profondamente, forse più di molte altre battaglie che ne segnarono la storia: l’8 giugno 1916.
Dopo esser stata trasferita in Albania agli inizi di febbraio, al fine di appoggiare la ritirata dell’esercito serbo, compiutosi tra dicembre 1915 e aprile 1916, agli inizi di giugno giunse per il reparto il momento del ritorno in Patria. Per le operazioni di rientro la Brigata venne divisa in due principalmente per ridurre al minimo il rischio di perdite connesse con l’urto di mine o di incontro con un U-Boot.
Il 5 giugno il 56° Rgt. partì alla volta di Taranto, porto da cui in genere salpavano i convogli per l’Albania. Giunto a destinazione, fu il momento del 55° Rgt. di partire dal porto di Valona.
Il convoglio era composto dai piroscafi “Principe Umberto” e “Ravenna“, oltre al naviglio di scorta formato dalle navi “Espero“, “Pontiere“, “Jonio” e “Impavido“.
L’8 giugno, 1lle ore 19.00 circa, il convoglio partì viaggiando inizialmente ad una velocità di 16 miglia nautiche l’ora in aumento. Alle ore 20.45, circa a 15 miglia per S-W da Capo Linguetta, il naviglio venne tuttavia avvistato dal sommergibile austro-ungarico U5 comandato dal Ten. di Vascello Friedrich Schlosser ed attaccato.
Delle navi, consapevoli dei pericoli lungo la rotta ma ignare della vicinanza della presenza dell’U5, solo il “Principe Umberto” venne colpito. L’imbarcazione affondò per via poppiera nel giro di 7 minuti, trasportando con se circa 1926 vite tra uomini dell’equipaggio (216 uomini totali) e fanti (2605 totali); solo 895 uomini si salvarono.
Nei giorni e nelle settimane a venire affiorarono dal mare decine di corpi, poi recuperati e sepolti nel cimitero del 55° realizzato a Valona. Pochissimi furono riconosciuti. Con la creazione del Sacrario “Oltremare” di Bari, le salme vennero colà traslate.
Anche la Riviera del Brenta venne coinvolta in questa tragedia. Nonostante sia ancora difficile rintracciare i nomi di tutti gli uomini del 55° periti l’8 giugno 1916, è stato fortunatamente (e fortunosamente) possibile rintracciare il nominativo di tutti i soldati rivieraschi deceduti quel giorno.
BRAGAGNOLO VITTORIO di Luigi, nato il 17 maggio 1887, residente a Gambarare;
CALZAVARA RODOLFO di Luigi, nato il 15 marzo 1892, residente a Pianiga;
CENDON ALBERTO di Giovanni, nato il 25 maggio 1890, residente a Mira;
FAVERO PIETRO di Angelo, nato il 18 gennaio 1891, residente a Saonara (immagine a sinistra);
GAMBATO ANGELO AMEDEO di Francesco, nato il 2 settembre 1894, residente a Camponogara; NICOLETTO GIUSEPPE di Amedeo, nato il 22 settembre 1894, residente a Saonara (immagine a destra); ZAMPIERI FORTUNATO di Antonio, nato il 16 febbraio 1886 e residente ad Arino. Per lui, ritratto nell’immagine in basso, il certificato di irreperibilità fu emanato il 12 novembre 1931.
Non è purtroppo possibile dire se tra le salme recuperate dal mare vi fossero anche le loro, anche se la speranza è quella. Lo stesso dicasi per il piroscafo: nonostante da anni si vada ricercando il sito, del relitto non vi è ancora traccia.
Bibliografia:
TOSATO G. 2000: “Zona di Guerra. Auronzo – Cortina d’Ampezzo – Monte Piana – Tre Cime di Lavaredo – Comelico – Isonzo – Albania nella Prima Guerra Mondiale“, Gino Rossato Ed., Novale-Valdagno (VI) 2000
Luigi Covra, detto Gino, nacque nel 1891 a Treviso.
Divenuto ufficiale in seno al 55° Rgt. Fanteria “Marche“, partecipò alla vita dell’unità operando inizialmente in Cadore e poi, al seguito del Reggimento, sul fronte dell’Isonzo durante la V battaglia (novembre 1915).
Dopo l’offensiva, nel 1916 il reparto venne trasferito a Taranto e da qui imbarcato alla volta dell’Albania dove, nonostante le consuete scaramucce e locali scontri a fuoco, passò un periodo di relativa tranquillità.
All’inizio di giugno iniziarono le operazioni per il ritorno in Patria, suddividendo la Brigata in due, al fine di ridurre al minimo le eventuali perdite in mare.
Il 5 giugno partì il 56° Rgt., giungendo a destinazione nell’arco di due giorni; l’8 giugno fu la volta del 55°. In tale data, tuttavia, il convoglio in cui viaggiava Luigi Covra venne intercettato dall’U-Boot austro-ungarico U5 che lanciò il proprio siluro contro il piroscafo “Principe Umberto“, nave in cui si trovava anche Covra.
Dopo l’esplosione del siluro contro la fiancata del “Principe Umberto“, Luigi si precipitò immediatamente verso una scialuppa già colma di soldati terrorizzati; uno di questi, forse nel tentativo di velocizzare la discesa in mare, tranciò una delle funi di sostegno, facendo rovesciare l’imbarcazione e morire, per l’impatto con le onde o contro altri relitti e scialuppe (dopo un volo da 12 m d’altezza), gran parte dei militari presenti.
Luigi riuscì a salvarsi aggrappandosi ad un rottame, raggiungendo poi una tavola in cui erano appoggiati il Capitano Marcias ed un altro soldato, venendo in seguito tutti recuperati dalla nave “Espero“. A bordo della nave fece ritorno a Valona, da cui ripartì qualche tempo dopo per far rientro in Italia.
Nella tragedia dell’8 giugno 1916 perirono in mare oltre 1700 soldati, molti dei quali, riemersi e recuperati sulle spiagge di Valona, non poterono essere identificati.
Posto in convalescenza, ritornò nelle trincee quale ufficiale assegnato all’85° Rgt. Fanteria “Verona“, presso la quale rimase sempre in servizio.
Luigi Covra morì il 24 maggio 1917 sul Nad Bregom (trincee di Selo, oggi in Slovenia), durante l’10a battaglia dell’Isonzo, colpito da una granata nemica. In sua memoria gli venne tributata la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Con mirabile slancio e sprezzante del pericolo, condusse brillantemente il proprio reparto alla conquista di una posizione nemica, e, con perizia, iniziativa e ardimento, ne diresse i lavori di rafforzamento, sotto l’intenso fuoco avversario. Mentre, sporgendosi del riparo, cercava un nuovo appostamento per i suoi uomini, cadde colpito a morte“
Bibliografia:
TOSATO G. 2000: “Zona di Guerra. Auronzo – Cortina d’Ampezzo – Monte Piana – Tre Cime di Lavaredo – Comelico – Isonzo – Albania nella Prima Guerra Mondiale“, Gino Rossato Ed., Novale-Valdagno (VI) 2000
Sitografia: Piroscafo “Principe Umberto“