Smaggiato Lino (1923-1945) in una delle ultime istantanee
Lino Smaggiato di Romeo, veterano della Grande Guerra, era nato il 25 agosto 1923 a Vigonovo. Primogenito di una figliolata di 9 bambini, veniva definito dalla madre – forse in virtù del fatto di essere proprio il primogenito – il più bello, il più alto (era alto circa 1,90) ed un ragazzo d’oro.
Prima della guerra, Lino lavorava come mezzadro per la Contessa De Lazzara, la cui villa era a Barbariga presso San Pietro di Stra. La fame a quei tempi era molta e la Contessa, oltre che con il denaro, dava a Lino anche un cesta contenente frutta e verdura perché la portasse alla famiglia…ma spesso arrivava quasi vuota!
Non sappiamo con quale reparto Lino prese parte alla Seconda Guerra Mondiale; le poche lettere da lui spedite sono a tutt’oggi ancora da trovare.
Smaggiato Lino in marcia con il suo reparto. E’ visibile a sinistra, indicato dalla freccia.
Di lui le notizie si perdono fino al 1945 quando cadde prigioniero dei tedeschi venendo condotto in un non meglio identificato campo di concentramento in Germania ove morì di fame e di stenti, assistito da un prete, il 21 febbraio 1945.
Quando la notizia della morte giunse in Municipio, si attese che il fratello Pietro, di cinque anni più giovane, partisse per il militare; solo allora la morte di Lino venne comunicata alla famiglia.
Nel frattempo, nella famiglia, a lutto non ancora reso noto si era sommato il lutto per la perdita di Antonietta, sorellina di Lino, che morì all’età di sette anni a causa di una scheggia di una bomba d’aereo caduta in prossimità dell’argine di Galta.
Smaggiato oggi riposa nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo, nel riquadro tombale n. 3, fila L, tomba n. 20. Per anni, dopo la sua morte, l’A.N.C.R. andava a far visita alla famiglia, portando qualche omaggio, ma mai seppe dire dove Lino era sepolto. Solo un cippo nel parco della rimembranza di Vigonovo ne ricorda la figura.
Florinda Marina Veller ritira il Gagliardetto della Memoria in memoria di Smaggiato Lino
Fonti:
Documentazione fotografica e memorie orali famiglia Smaggiato
Ritornando a parlare dei soldati che abbiamo ricordato durante la cerimonia di consegna dei Gagliardetti della Memoria, parliamo ora della storia di Ferruccio Boschetti. Prima di farlo, pubblichiamo il ricordo che Fernanda Giantin, nipote del Tenente, ci ha rilasciato.
LA MEMORIA VA COLTIVATA COME IL CONTADINO COLTIVA LA TERRA
Ferruccio era il fratello più giovane della mia nonna paterna Lavinia, figura fondamentale per la mia educazione fin dall’infanzia. La memoria per lei era un culto perché dà identità e appartenenza. Come fa un paese, una famiglia a dimenticare la sua storia, a non sapere chi siamo e di quali esempi ci nutriamo? La memoria va coltivata con amore come il contadino coltiva la terra, la rivolta, la concima; darà i frutti alle nuove generazioni. Alla mia nascita Ferruccio non c’era più da vent’anni. C’era la sua immagine e nel tempo il ricordo continuo di lui, delle sue virtù civili e militari, è entrato nella mia mente e nel mio cuore. Sapeva esprimere con facilità il suo affetto verso la famiglia. Lavinia mi leggeva i pensieri con cui accompagnava le foto che inviava dal fronte; manifestavano grande sensibilità, serenità e senso del dovere. Ma per il Centenario della Grande Guerra, il suo non sarà solo un nome sconosciuto scolpito sulla lapide dei Caduti di Arino ma una storia viva raccontata con passione ed impegno dai ragazzi dell’Associazione Riviera al Fronte. Si compie quanto la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano promesso a Ferruccio sul memoriale del trigesimo: “Resterai tu obliato nel dì che verranno? Non pensarlo!”. Ma mai avrebbero immaginato che dopo un secolo la sua vita e il suo sacrificio fossero raccontati alla gente della Riviera del Brenta, a chi frequenta Internet e che in suo onore fosse consegnato alla nipote il Gagliardetto della Memoria. Le nonne e la nipote ringraziano.
Fernanda Giantin
Vigonovo, 7 agosto 2015
Ringraziamo quindi Fernanda che, grazie alla sua passione per la Storia e l’amore nei confronti dei suoi parenti che andarono al fronte, ha conservato del materiale importante, composto di foto e manoscritti, prestatoci per raccontare la vita del tenente Ferruccio Boschetti, matricola 1308 e poi 20982, figlio di Giovanni Battista e di Augusta Fabris, Medaglia d’Argento al Valor Militare durante la Grande Guerra e reduce della campagna di Libia, disperso durante la battaglia di Monastir del 1916.
Ferruccio Boschetti in abiti civili. Appena sopra al braccio sinistro si puà intravedere una piccola medaglietta d’argento. Fu conquistata nell’anno 1900 a Siena, in occasione di una gara di scherma organizzata dall’Esercito
Il registro di leva contenuto nell’Archivio Comunale di Dolo indica che Boschetti era nato ad Arzergrande, Padova, il 29 aprile 1878. La famiglia era originaria della Liguria e una volta adulto Ferruccio tornò a Molassana, Genova, dove trovò lavoro come impiegato e creò una famiglia, allevando due figli; la madre Augusta e la sorella Lavinia restarono invece nel Veneziano, la prima ad insegnare alla scuola elementare di Arino, la seconda a Vigonovo. Boschetti aveva combattuto in Libia nel 1911-12, ottenendo i primi gradi e venendo promosso fino ad essere sottotenente.
Con l’inizio della guerra contro l’Austria-Ungheria Boschetti fu richiamato e assegnato a vari battaglioni della Milizia Territoriale per via dell’età. Non partì da solo: con lui c’era l’inseparabile macchina fotografica, utilizzata nei momenti di tregua. Le foto originali, datate e segnate con il luogo dove furono scattate, sono arrivate ai giorni nostri e Fernanda ci ha permesso di pubblicarne qualcuna.
Ferruccio Boschetti sul monte Novegno, inverno 1916
Boschetti passò la prima parte del conflitto sull’altopiano di Folgaria, sul Sommo Alto, per lavorare alla fortificazione e al presidio dell’area. All’inizio del 1916, invece, giunse in Trentino anche la Brigata Cagliari, alla quale il battaglione di Boschetti fu aggregato fino alla campagna di Macedonia. La Cagliari fu chiamata a presidiare il settore di Tonezza a febbraio, tra i monti Maronia, Coston e Soglio d’Aspio, e fino all’inizio della Strafexpedition il fronte fu posto in sicurezza senza grossi problemi. Il più grande nemico in quell’inverno infernale erano il gelo e le valanghe: una foto scattata nel marzo 1916 (a fianco) mostra gli effetti della grande nevicata che aveva investito il monte Novegno. Incredibilmente, le baracche di entrambi gli schieramenti furono adombrati da mura di neve alte fino a 5 metri.
Il 15 maggio gli austroungarici balzarono all’assalto alla prima linea italiana sull’Altopiano di Asiago. In seguito al bombardamento dell’artiglieria, la fanteria imperiale dilagò in Costa d’Agra, aggirando le forze italiane. Il terzo battaglione del 64°, a difesa del Tre Sassi, fu accerchiato e catturato, non senza lottare, mentre il primo battaglione riuscì ad evitare la stessa sorte sul Soglio d’Aspio, riuscendo a raggiungere con i superstiti Coston d’Arsiero. Questo luogo diventava la linea di non ritorno e consapevoli di questo la Cagliari impose le proprie armi su quelle nemiche, rallentando così la corsa austroungarica alla pianura.
Ferruccio Boschetti in divisa
Mentre la Cagliari veniva riorganizzata in seconda linea a Chiuppano, gli asburgici avanzarono mettendo sotto assedio il Novegno, in particolare i monti Spin e Brazome. Fu proprio su quelle posizioni che la Brigata di Boschetti fu schierata per la difesa dell’estremo baluardo d’Italia. Se nei giorni precedenti l’azione offensiva aveva disgregato la retroguardia e provocato gravi danni, nella seconda parte della Strafexpedition i difensori italiani riuscirono a resistere con audacia. La battaglia del Novegno proseguì fino alla metà di giugno, fino a quando l’Alto Comando austroungarico ordinò la fine delle operazioni e il ripiegamento su delle posizioni più difendibili. Tra le giornate più dure da ricordare c’è quella del 12 giugno, quando all’alba l’artiglieria imperiale iniziò a tirare contro gli italiani sui monti Giove, Novegno e Passo Campedello. Dopo alcune ore di fuoco martellante, il 3° e il 4° Kaiserjaeger balzarono fuori dalle trincee per impossessarsi di quelle avversarie. In due giorni, asburgici e italiani lottarono in furiosi corpo a corpo che aveva come risultato la vittoria di quest’ultimi. Il 14 giugno gli aggressori diedero sfogo alle ultime forze, l’ultimo tentativo per sfondare e conquistare così Schio e la Pianura Padana. La fanteria italiana, rimasta senza rinforzi e allo stremo delle forze, riuscì a resistere ancora una volta per altri due giorni. Boschetti osservava lo svolgimento della lotta dall’osservatorio del Rivon, da dove le batterie colpivano le truppe imperiali allo scoperto. L’Italia aveva vinto e la Cagliari era stata lanciata all’inseguimento dei fuggiaschi. Prima di abbandonare l’Altopiano dei Sette Comuni, le truppe occupavano Pria Forà, monte Brazome, monte Aralta e Roccolo dei Sogli, controllando le cime fino al 26 luglio, quando i fanti furono ritirata per rifiatare a Schio, in attesa di partire per la Macedonia.
Ferruccio Boschetti e una bomba inesplosa austriaca sul Monte Novegno, giugno 1916
Il Novegno era stato completamente devastato e bucherellato dall’artiglieria asburgica. Gli ordigni inesplosi restavano là, in attesa di essere disinnescati e spostati. La foto a fianco mostra il sottotenente Boschetti su uno dei proiettili in questione.
Negli stessi giorni inviava a casa altre fotografie, una che ritraeva i suoi coraggiosi commilitoni. Dietro ad una di queste aveva scritto:
Ferruccio Boschetti, a destra, con i suoi commilitoni. Giugno 1916
«Ragazzi generosi, umili, figli di contadini, coraggiosi e forti che hanno sopportato la fatica, il freddo, la fame, il sonno e le sofferenze di ogni genere».
Dopo le fatiche della battaglia di Asiago, la Cagliari era destinata al fronte macedone. Prima di partire, però, a Ferruccio era stato concessa una settimana di licenza per rivedere i propri cari. Il periodo però non era abbastanza: dopo esser stato per cinque giorni in quarantena al distretto sanitario, in pochissimi giorni riuscì a salutare, per l’ultima volta, l’adorata moglie e i figli a Molassana e la madre e la sorella in Riviera del Brenta.
L’8 agosto iniziarono le attività di imbarco a Taranto per il fronte balcanico. Il trasporto della Trentacinquesima divisione e del resto del corpo di spedizione italiano nei Balcani durò quasi una settimana, con l’Adriatico infestato dagli U-Boot. Boschetti e il suo contingente arrivò salvo sull’altra sponda e in una lettera descrisse Salonicco, la città portuale dove sbarcò:
«E’ una città meticcia. Convivono Cristiani, Mussulmani ed Ebrei divisi in distretti come villaggi all’interno di una città e riconoscibili solo dal differente colore dei turbanti: bianchi per i seguaci dell’Islam, gialli per gli ebrei e blu per i cristiani. È convivenza che dura da cinquecento anni! Il panorama si presenta con alti minareti, cipressi, cupole e le eleganti residenze ottomane.
Sopravvivono i resti dell’Arco trionfale del tetrarca Galerio (fine del III – inizio del IV secolo) – 1915 l’archimandrita di Salonicco, massima autorità religiosa cittadina della Chiesa greco-ortodossa, è ospitato a bordo di una nave da guerra britannica per protezione.
Belli i nostri giovani soldati e ben vestiti; sono stati molto festeggiati ed ammirati quando sfilarono per le vie di Salonicco».
Le truppe della Cagliari dovevano combattere su un terreno molto difficile, non molto diverso da quello dell’altopiano di Asiago, anche se molto più secco e paludoso. Inoltre, si manifestavano le malattie che avevano colpito le truppe italiane in Albania, con diverse vittime: molti si ammalarono e allora il comando corse ai ripari consegnando ai soldati il chinino.
Il 27 agosto la truppa occupava il settore Akeeklise – Sarigol e ai primi di settembre controllava il settore di Krusa Balcan, fra il lago Dorjan e il forte di Dova Tepi, dove era chiamata a realizzare lavori difensivi. Il 19 ottobre i combattimenti entrarono nel vivo quando le truppe alleate decisero di sfondare a Monastir, con il comando delle operazioni guidato dai francesi. Passata la prima parte dell’autunno, la guerra sul fronte balcanico iniziava a prendere una strada ben definita: le truppe italiane sostituirono la Diciassettesima divisione francese sull’altopiano di Monastir, a 2000 metri di altezza, dove la neve era già abbastanza alta e si viveva in condizioni disperate, a dieci gradi sotto zero. Il 15 novembre iniziava il movimento e la Cagliari occupava il dente di Velusina e il colle di Ostrec. La battaglia entrava nel vivo il 17 novembre, quando l’artiglieria tedesca e bulgara martellarono la prima linea alleata. Era un tentativo estremo, ma inutile, di bloccare l’offensiva dell’Intesa, compiuta il 19 novembre con la conquista di Monastir. La Cagliari fu insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare e della Croce Francese con Palma.
Tra i primi caduti di quell’offensiva c’era anche il sottotenente Boschetti, colpito in pieno da una bomba. Il suo attaccamento ai suoi sottoposti e il coraggio fu sottolineato nella motivazione per cui gli fu concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare:
«Costante esempio di valore, durante un forte bombardamento nemico mantenne alto il morale dei propri dipendenti e mostrando animo invitto e sprezzante del pericolo, sulla prima linea sdegnava qualsiasi riparo, finché cadde sul posto colpito al petto da una scheggia di granata». (monte Velusina – Macedonia – 17 novembre 1916).
A distanza di poco più di una settimana, a Morassana e ad Arino giunse la notizia della scomparsa del povero Ferruccio. Il tenente colonnello comandante la 35° Divisione, M.L. Cravosio, scrisse alla moglie una lettera toccante, datata 27 novembre 1916:
«Con sommo dolore, comunico alla S.V. che suo marito sottotenente Boschetti Ferruccio, il 17 corr. cadeva gloriosamente colpito da granata nemica.
Conoscendo le preclari virtù dell’eroico Sottotenente, è stato promosso ufficiale per merito di guerra.
Assicuro la S.V. che farò tutto il possibile perché l’eroismo di suo marito non venga dimenticato affinché una meritata ricompensa possa lenire il dolore di tutta la famiglia.
Nel compiere il doloroso dovere, le porgo le mie condoglianze e quelle degli ufficiali tutti del reggimento e le assicuro che ciò che apparteneva al compianto suo marito le sarà rimesso a cura del deposito di questo reggimento.
Il Ten. Colonnello
Comandante Int. del Reggimento
M.L. Cravosio»
Dopo la scomparsa di Ferruccio, la madre e la sorella vissero con il dolore di non poter più vedere il loro amato congiunto e di non poter piangere sulla sua tomba; ma restava incancellabile e tramandato di generazione in generazione il ricordo e l’orgoglio di aver dato un figlio al servizio alla Patria, distintosi per l’onore e il coraggio. A pochi giorni di distanza dalla triste comunicazione, la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano dedicato un memoriale.
Il nome del tenente Boschetti è stato ricordato in testa al monumento dei caduti di Arino. Al momento della scomparsa aveva 38 anni.
Fernanda Giantin ritira il Gagliardetto della Memoria in memoria di Ferruccio Boschetti
Fonti:
Ricordi famigliari appartenenti alla famiglia Giantin;
Diario della Brigata Cagliari
Per la Medaglia al Valore: Istituto del Nastro Azzurro
Guglielmo Chino: soldato semplice, caduto della Grande Guerra, parente di Andrea Cecchi, socio fondatore di Riviera al Fronte che ci ha consegnato le lettere scritte dal prozio alla famiglia e una foto.
Il soldato Guglielmo Chino
Il soldato semplice Guglielmo Chino, matricola 12912, apparteneva al 25° Reggimento Fanteria, Brigata Bergamo, era figlio di Maurizio e di Angela Scappin. Era nato a Dolo il 20 novembre 1884 in via Campo Pelà, allora vicina all’area di via Dauli, molto probabilmente nella zona dove oggi sorgono ‘Dolo 2000’ e il parcheggio del cimitero.
All’inizio della guerra, il nostro concittadino fu uno dei primi a essere richiamato alle armi: dopo l’arruolamento del 1 giugno, a luglio venne assegnato al 113° Fanteria che, assieme al 114°, componeva la Brigata Mantova. Prima di partire per il fronte, il 3 giugno Guglielmo si era sposato a Dolo con l’amata Annetta Zorzan, destinataria delle lettere che leggeremo fra poco.
Fino a metà estate 1915 il Reggimento prestò servizio in Val Lagarina, svolgendo azioni militari sul monte Baldo, a Crosano, presidiando la Vallarsa. A metà ottobre furono invece svolte importanti azioni militari culminate dal successo su quota 912, a nord-ovest di Brentonico, che portarono alla conquista dei ruderi del castello e all’occupazione delle relative alture a nord-est della posizione e al respingimento di tutti i contrattacchi nemici. Il 1915 si chiuse con le operazioni per l’occupazione della linea Mori Nuovo – quota 163, sulla destra del fiume Adige, e con il rafforzamento delle posizioni di Madonna di Monte Albano.
All’inizio della Strafexpedition (maggio 1916), il 113° ebbe ordine di ritirarsi su posizioni difendibili, riuscendo così a resistere agli attacchi avversari. Dopo aver sventato con i propri commilitoni i tentativi di aggiramento sulla destra dell’Adige, Chino fu destinato al comando di Sacile e il 3 agosto 1916 assegnato al 25° Fanteria, Brigata Bergamo, che si trovava sul settore di Santa Lucia e di Santa Maria, senza però partecipare alle cruciali battaglie dell’Isonzo. Per circa un mese, dal 23 novembre al 14 dicembre, il 25° rimase in riposo tra Fauglis e Prepotto.E’ da questa parte del fronte che Guglielmo scrisse ad Annetta; la lettera in questione è datata mercoledì 24 agosto. È stata trascritta come sull’originale.
“Mia adorata moglie,
Subito ti do mie buone notizie come siamo stati intesi. Ora la mia salute e buonissima cosi spero dite e miei cari bambini. Dunque caro mio tesoro tu dici che tuo fratello e 17 giorni che non sapete nulla di lui sai bene che si troverà più al sicuro di me e per questo non devi appasionarti. Piu che mi dispiace che tua mama a poco bene ma spero che presto stara meglio. Dunque mia cara Anetta devi sapere che mi trovo in trincea ancora dal secondo giorno che siamo rivati e non si sa quando si avrà il cambio qui si mangia una volta ogni 24 ore ti dano umpo di caffè fredo ti dano umpo di pasta e riso come la colla mezza tassa di vino, ogni 2 giorni ti dico cose del l’altro mondo. Poi nella trincea e va pregare Idio che non piova perche ai laqua sopra e anche sotto sono 6 gioni che siamo immezo al fango perche piove sempre. Dunque mia cara anetta quello che ti recomando che non ai da pasionarti per certe cose tu devi pensare al tuo amore che si trova esposto al pericolo. Qui per ora non ce avanzate ma ci sono tutte le sere attachi e contro attachi. Basta mia cara Anetta altro non posso dirti perche con questi tagliani Non si puo parlare tanto. Ieri o ricevuto notizie da mio nipote Rodolfo dice chea ricevuto la mia fottografia midice che sta bene. Da mio Nipote Ernesto non o ricevuto neancora notizie. Delle tue lettere Neo ricevuta una solo.Guarda che miano tagliato li Capelli Perche in trincea sifa li pidocchi come lio gia Presi, ti metto dentro questo grupetto di Capelli. Quando mi scrivi manda pure sensa bolo. Allora Termino il mio scritto col baciarti te e figli e fatti coraggio come io. Ciao mia Anetta speriamo che tutto vada fenito e allora tornero a casa e si baceremo como si abbiamo sempre baraciato coi nostri cari figli. Tu tesei sognato e Pure anchio 2 volte. saluta tutti Baci ai bambini e a te stretti Bacioni. Dal Tuo Primo Amore. Marito Chino Guglielmo
Ciao
scrivi sempre
Baci e Baci”
Guglielmo soffriva molto la distanza da casa ed era triste sapendo che la moglie non godeva di buona salute dato che era in attesa di un intervento chirurgico all’ospedale di Dolo. Il 9 settembre Guglielmo scrisse:
“Ti dico che non stia pensare perche altro che pensare io non facio che piangere giorno e notte nonso chi sia quel barbaro uomo che non penza alla sua diletta famiglia, moglie e figli io o sempre pensato e sempre pensarò fino che saro questa posizione perche io non volto li ochi se non penso a te. Io la mia vita non li facia calcolo fino a che sono in prima linea e se avro la fortuna di campare pensero a sempre fino a quel giorno che potro venire a casa abbracciarti te e miei cari bambini”
Pochi giorni dopo la coppia ebbe modo di incontrarsi a Sacile grazie a due giorni di licenza concessi a Guglielmo tra il 12 e il 13 settembre. Un momento indimenticabile e che il soldato ricorda in chiusura della lettera del 17 successivo:
“Non penzare mai il male che io sto bene adio mio amore dali baci ai nostri cari bambini e prega perme. Quest ogi mentre faceva un pisolo sono vicino a Sampieri mi sono sognato dite non puoi maginarti quando mi sono svegliato pensavo quella note che abbiamo passato a Sacile. Basta Coraggio sempre Ciao Baci”
Grazie alla frequente corrispondenza con il marito, Annetta approfittava per chiedere informazioni su altri compaesani che non scrivevano più a casa. Guglielmo riusciva a comunicare molto con Dolo, anche se riceveva le lettere in ritardo. La scrittura era facilitata anche dai momenti di stasi del conflitto; altri soldati facevano mancare proprie notizie per mesi e le famiglie erano costrette a rivolgersi al Sindaco del paese, che scriveva ai comandi del Reggimento di appartenenza. Venerdì 13 ottobre Chino scrisse:
“Cara mia moglie guarda per ricevuto 5 lettere tutte suna volta per 2 ore o sempre letto. o inteso che vuoi sapere se nino Gambero lovisto nel venire o se andare io lovisto quando sono venuto giu dal fronte di Gorisia e poi non lo piu visto io son uno fronte e lui povereto si trova sun naltro io avrei molto piacere che non fosse Morto. o inteso pure di Augusto Carraro e anche di Costante sono molto dispiaciuto”
Nella stessa lettera, Chino comunicava che le condizioni della truppa erano migliorate: “dunque adesso fra un giorno o 2 vado ancora in trincea perche adesso sifa 6 giorni in trincea e 6 giorni in montagna a lavorare di barache per ripararsi del laqua e galerie per ripararsi dell canone nemico.”
Tra i colli del Santa Lucia e di Santa Maria l’inverno si stava avvicinando velocemente e le condizioni atmosferiche stavano peggiorando gradualmente. Il vero nemico dei fanti non era il soldato austroungarico, anch’egli costretto a vivere in condizioni pessime, ma il freddo, la neve e l’acqua, sia quella che cadeva dal cielo in gran quantità sia quella da bere che non arrivava mai. Il 1° dicembre 1916, alle ore 11, Guglielmo scriveva:
“Dunque mia cara Anetta non ti posso dire la vita che abbiamo fatto la notte del 22 venindo al 23. Siamo venuti su da una montagna con vento pioggia e neve non sevedevimo uno col laltro era tanto dura siamo rivati su alla mattina tutti disvigurati stanchi erimo tutti coperti di neve e fame. poi per venire qui dove si troviamo adesso abbiamo caminato 2 giorni Poi non si poteva piu andare avanti e ora anno chiamato piu di 100 autocarri fino che mi ano portato qui. Adesso siamo nei dintorni di Palmanova qui si starebe bene ma tutto il giorno mi toca fare le strusioni e mi dano anche pocho da bere ma per questo siamo tutti contenti perche siamo al momento siguri della nostra cara vita. Mia cara Anetta quanti pidochi cheo butato via in questi pochi giorni era pieno come una bestia. dunque qui si spera che prima di andare sun naltro fronte possa mandarne tutti in licenza che siamo qui che la bramiamo come il pane che simangia e poi siamo contenti di partire subito almeno che posiamo vedere ancora.”
La speranza della licenza tanto agognata rimase: dal 15 dicembre fino all’inizio della decima battaglia dell’Isonzo, combattuta nel maggio 1917, il Reggimento di Chino venne incaricato di presidiare le posizioni del Monte Debeli. La stanchezza della guerra cominciava ad affiorare e nemmeno i giorni di festa servivano a distrarre i soldati. Scriveva Guglielmo il 12 aprile:
“Mia anetta tifaccio sapere che mia domenica giorno di Pasqua e venuto Nostro nipote Rodolfo a trovarmi in trincea, ma sia fermato pocho tempo perche quelli barbari tedeschi a cominciato apprire un tremendo fuocho e io subito lo fatto scapare dalla trincea di fiancho. E io Poveretto sono stato la in trincea e mie venuto da piangere vedermi in merso nel fuocho. Basta mio amore anche questa volta lopasato per il bucho della chiave ma non ti posso dire li spaventi di questi 20 giorni sempre sotto al fuocho nemico. Mia cara Anetta te avreai da contare tanto ma sai bene che passano la censura. qui dove mitrovo Ho attrovato Mario del Caffe Comercio e anche Alesandro che era da Salmasi, tisaluta tanto. Mio tesoro tu Parli sempre della mia licenza tu ai tanta raggione ma devi sapere che in questo Reggimento nemanda via tanto. Pochi, ma adeso vicino che in questi 40 giorni mandano tutti. Basta che le cose vada tutto per bene e cosi vera il mio turno anche per me. Dunque o inteso amore di Ernesto io ho gia scritto salutelo tanto Rodolfo vimanda Baci a tutti.”
Purtroppo Chino non vedrà mai la licenza perché era in fase di preparazione la decima battaglia dell’Isonzo. Il 23 maggio la Bergamo fu mandata alla conquista delle trincee del Monte Flondar e delle posizioni sul’altura denominata quota 92. A metà giornata gli italiani conquistarono la prima linea nemica ma in serata furono costretti a retrocedere a causa della controffensiva austroungarica non solo da quella appena conquistata ma anche da quella di partenza, lasciando sul campo oltre ai morti, ai feriti e ai dispersi, anche quasi un migliaio di prigionieri. Il giorno successivo la Brigata tornò all’attacco e questa volta gli imperiali capitolarono sulle quote 92 e 43. L’avanzata proseguì: assieme alla Gaeta, il 25° occupò la linea difensiva di Flondar, nonostante il tiro dell’artiglieria e il fuoco di mitragliatrici e di bombe provenienti dal cielo da parte dell’aviazione nemica.
Chino morì nel primo giorno dell’offensiva, il 23 maggio, non si sa se nell’assalto per la presa della prima linea o nel momento della ritirata. Essendo caduto nella zona di quota 144 è molto probabile che il suo corpo fosse stato sepolto in uno dei cimiteri della zona. Poi, con la risistemazione dei campi santi e con la formazione dei sacrari di Redipuglia ed Oslavia in periodo fascista, la croce andò perduta e il corpo tumulato assieme a quello di tanti altri soldati ignoti.
Fonti:
Lettere appartenenti alla famiglia Cecchi
Archivio Comunale di Dolo
Foglio matricolare, Archivio di Stato di Venezia
Diari delle Brigate Mantova e Bergamo, ritrovati in internet
Vi aspettiamo numerosi alla prima grande giornata organizzata in occasione del Centenario della Grande Guerra e che si svolgerà a Mira, Forte Poerio. L’iniziativa, che si svolgerà tra il 4 e il 5 luglio e che è intitolata Mira al Forte – Memorie della Grande Guerra, è organizzata dal Comune di Mira assieme alla partecipazione di moltissime associazioni del territorio e tra queste, ovviamente, Riviera al Fronte. L’obiettivo del Comune e degli enti partecipanti è quello di riqualificare il più possibile l’area del Forte, approfittando proprio del Centenario che si protrarrà fino al prossimo 2018.
Il 4 luglio, alle 09.30 sarà inaugurata la mostra presso Casa Futura, organizzata dall’associazione La Ghirba e da ArtiFulvio. Qui saranno presentati cimeli della Grande Guerra, divise e memorie. Alle 10.00 saranno celebrati anche i pannelli rievocativi installati sulle porte e le finestre di Forte Poerio. Questo progetto è stato realizzato dalla Cooperativa Sociale Primavera Onlus e dall’associazione Centro Idea Donna di Mira. I pannelli vedranno delle foto realizzate a dei ragazzi che, vestendo gli abiti civili e poi la divisa dell’Esercito o delle Crocerossine dell’epoca, hanno fatto un tuffo di 100 anni. Alle 10.30 partirà la prima delle due visite guidate della mattina al forte e il laboratorio per bambini. Le due attività sono gestite dalla Società Cooperativa Culture.
Dopo la pausa di mezzogiorno, a partire dalle 16.30 riprenderanno le visite per il forte. Alle ore 18.00 il Sindaco di Mira, Alvise Maniero, l’assessore alla Cultura Nicola Crivellaro e i presidenti delle associazioni daranno il saluto alla cittadinanza. Alle ore 18.30 Sebastiano Leotta e Irene Barichello leggeranno lettere dal fronte e diari di guerra. L’iniziativa è stata promossa da Riviera al Fronte. Ringraziamo pubblicamente Sebastiano e Irene, ricercatori e scrittori dell’Università di Padova e delle scuole medie, per essere dei nostri e per aver prestato la loro voce, la loro ricerca e la loro passione per questa giornata. Alle 19.30 il coro I Fiori de Suca intoneranno dei canti sociali dell’epoca della Grande Guerra.
La giornata si conclude con lo spettacolo delle 21.30 dal titolo Il fuoco nel cuore di e con Titino Carrara, promosso dall’associazione La Piccionaia.
Il giorno 5 luglio sono previste altre due visite guidate al Forte Poerio – una alle 10.30 e una alle 16.30 – e resteranno aperte sia la mostra in Casa Futura sia le installazioni al Forte.
Durante la giornata ci saranno anche rievocanti in divisa d’epoca.
Dopo la bellissima ed emozionante giornata di domenica 26 aprile a Dolo, in cui abbiamo ricordato alcuni combattenti e reduci della Prima e della Seconda guerra mondiale e delle missioni di pace, Riviera al Fronte offre agli appassionati di Storia e soprattutto ai giovani un nuovo momento di riflessione. Questa volta andremo a fondo sulle cause che hanno spinto l’Italia ad entrare nella Prima guerra mondiale a un secolo di distanza. La conferenza, che si svolgerà il 9 maggio presso l’aula magna della biblioteca di Oriago di Mira (ex Cinema Italia) e organizzata in collaborazione con il Comune di Mira, è intitolata: Italia, 1914-1915. Guerra inevitabile?. Cercheremo di comprendere come l’Italia sia scesa in guerra nel maggio 1915 e, soprattutto, se potevamo evitare di entrarci.
Per cercare di dare una risposta al quesito iniziale abbiamo invitato due ospiti importanti: il PROF. ANTONIO VARSORI, docente di Storia delle Relazioni Internazionali e dell’Integrazione Europea all’Università di Padova, dirige il dipartimento di Studi storici internazionali. Titolare della Cattedra Jean Monnet di Storia dell’Integrazione Europea. Vicepresidente del groupe de liaison des historiens de l’Europe contemporaine auprés la Commission Européenne. E’ autore del libro Diplomazia all’opera. L’entrata in guerra dell’Italia, edito dalla casa editrice Il Mulino. Per altre informazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Varsori.
Il dr. PATRIZIO ZANELLA, storico, giornalista e insegnante all’istituto Lazzari di Dolo. Ha collaborato, assieme a Aldo Valerio Cacco, alla redazione dell’opera Un clarinetto nel Lager. Diario di prigionia 1943-1945. Collabora con altri storici e insegnanti per la divulgazione storica del Novecento.
E ANDREA JURIS: presidente della sezione dell’associazione Paracadutisti d’Italia di Venezia e che, quale socio di Riviera al Fronte, sta approfondendo la storia dei caduti della Grande Guerra di Mira e presenterà la situazione del territorio del paese e dell’intera Riviera del Brenta nei primi anni del conflitto.
Speriamo di vedervi in molti alla conferenza. Sarà un momento per approfondire alcuni aspetti sconosciuti della nostra storia, sia a livello internazionale che a livello più locale. Ivan B. Zabeo
Quante volte abbiamo sentito parlare di Ernest Hemingway? Quante volte abbiamo letto o sentito (o addirittura visto in alcuni film) del suo ferimento a Fossalta di Piave mentre colà prestava servizio come conducente d’ambulanze per l’American Red Cross?
Ernest Hemingway, qui ritratto dopo il ferimento all’Ansa di Zenson di Piave. 1918
Se Hemingway e l’A.R.C. sono storia abbastanza nota, meno note sono le vicende vissute da “quelli della cioccolata“, ovvero da quegli spericolati ragazzi che partiti entusiasti dall’America per partecipare alla Grande Guerra si erano ritrovati a dover soccorrere – sopravvivendo – quanti più soldati feriti o morenti possibili. Tra questi ragazzi vi era anche l’autore John Dos Passos (Chicago, 14 gennaio 1896 – Baltimora, 28 settembre 1970), partito per la guerra per salvare le vite umane, allineandosi con i suoi ideali di pacifista.
Lo scrittore John Dos Passos nel 1917-1918
Poco dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro l’Austria-Ungheria (7 dicembre 1917), alcune Sezioni dell’A.R.C. vennero inviate in Italia dalla Francia. Dopo aver stazionato a Milano per qualche giorno, tra il 13 ed il 25 dicembre alcune di esse partirono per il fronte del Piave. Dos Passos e l’amico Sydney Fairbanks invece (Hemingway all’epoca dei fatti qui narrati era ancora in America), furono inizialmente costretti a rimandare la partenza. Nel frattempo, però, l’azione offensiva austro-tedesca tra il Grappa ed il mare rendeva la situazione piuttosto instabile, costringendo tutte le Sezioni già in viaggio a stazionare per un tempo indefinito nelle località raggiunte. La Sezione n. 3 si fermò quindi in quel di Dolo.
Il 30 dicembre anche i ritardatari Dos Passos e Fairbanks raggiunsero il paese rivierasco, attendendo insieme al restante gruppo che “i capi…le strane e invisibili creature, dèi o demòni che agiscono dietro le quinte” decidessero sul da farsi. Durante l’attesa la Sezione n. 3 ebbe la visita del Capitano Henry B. Wilkins e del Maggiore del Dipartimento degli Affari Militari A.R.C. di Roma, Guy Lowell.
Le disposizioni tanto attese arrivarono il 6 gennaio 1918: la Sezione n. 3 sarebbe dovuta andare a Casale sul Sile. Passos e Fairbanks, però, non la seguirono. Rimasero a Dolo, senza alcuna spiegazione apparente fino al 16 gennaio, salvo raggiungere la Sezione n. 1 a Bassano del Grappa.
Così si conclude il veloce passaggio per Dolo di uno degli scrittori più noti e discussi, quale era il nostro Dos Passos, dell’America degli Anni Ruggenti. Un personaggio ed una testimonianza legata alla Grande Guerra e all’American Red Cross poco nota che meritava di essere riscoperta.
Bibliografia essenziale: Giovanni Cecchin (a ura di), “La Grande Guerra. Cronache particolari“, Collezione Princeton Ed., Bassano del Grappa 1998. Pg. 80
Altre informazioni su John Doss Passos: http://it.wikipedia.org/wiki/John_Dos_Passos
Sabato 21 marzo Riviera al Fronte è stata invitata a presenziare ad un appuntamento organizzato dai circoli dell’Anpi della Riviera del Brenta in Villa Alberti a Dolo. E’ stata l’occasione per presentare Una stele per Romeo Isepetto, un libro di 120 pagine, scritto per ricordare la posa del monumento a Giare di Mira, in vista della laguna, in memoria di Romeo Isepetto. L’opera propone anche alcuni spunti di riflessione e brevi ricordi di avvenimenti e personaggi della Resistenza nella Riviera del Brenta.
Vittorio Pampagnin, autore del libro Il coraggio di scegliere, che ha messo in luce la storia di Romeo Isepetto
La stele è l’atto conclusivo di una grande operazione di memoria intrapresa da Vittorio Pampagnin, autore de Il coraggio di scegliere, libro che racconta la storia di Romeo Isepetto, comunista, pescatore in quel tratto di laguna che va da Campagna Lupia a Mira. Isepetto era un attivista, organizzatore e corriere per il PCI clandestino veneziano, che dal momento del suo arrivo a Mira nel 1928 fino alla fine della Seconda guerra mondiale aveva contrastato gli agrari e i titolari della Mira Lanza, che finanziavano e sostenevano il regime fascista. Aveva sostenuto gli scioperi dei ferrovieri e dei lavoratori della Mira Lanza, aiutando coloro che volevano andare in Spagna per combattere contro Franco, sostenuto da Mussolini e da Hitler.
Ovviamente, il regime fascista lo riteneva un pericolo e aveva iniziato a dargli la caccia. Con l’8 settembre e l’armistizio, Isepetto e i suoi si asserragliarono dentro il Municipio di Mira; i tedeschi e i fascisti lo arrestarono, assieme a Primo Barzoni, e lo mandano in carcere a Dolo. Ci restarono per poco tempo per paura che la popolazione andasse a liberarli con la forza.
Romeo Isepetto, foto scattata nel lager di Mauthausen
Dopo quasi un anno di detenzione a Venezia nel carcere di Santa Maria Maggiore, Isepetto fu deportato a Mauthausen – Barzoni era deceduto nel gennaio 1944. Dopo la liberazione degli Alleati, dai campi di prigionia dell’Europa centrale ritornavano gradualmente tutti i prigionieri : dagli ebrei agli internati militari e politici. Il 22 giugno 1945 rimpatriava anche un irriconoscibile Romeo Isepetto, reso ormai uno scheletro a causa delle sofferenze e della fame. Rimessosi, Isepetto ricominciava la carriera di attivista politico – partecipanto anche come delegato veneziano al Congresso del PCI a Roma – e ritornò nella darsena, a pescare. Il suo pensiero era dedicato a tutte le famiglie in difficoltà, soprattutto nei confronti di quelle vedove di guerra che dovevano allevare i propri figli in condizioni di estrema povertà: andava all’interno delle proprietà private di quelli che qualche anno prima finanziavano e sostenevano il fascismo e utilizzava le bombe a carburo. Fu proprio una bomba a mano a distruggere la barca che trasportava Isepetto e Giuseppe Fabbian il 17 agosto 1947. Il giorno dei funerali a Mira c’era moltissima gente; ma il PCI lo dimenticò troppo velocemente.
La storia di Isepetto restò nell’oblio fino a quando Vittorio Pampagnin scrisse Il coraggio di scegliere e lo fece rivivere per la seconda volta. E’ nato il comitato Pro Romeo Isepetto; è stata posta la stele sulla darsena di Giare di Mira; è stata recuperata la memoria di tanti altri protagonisti della Resistenza nella Riviera del Brenta. Da quest’anno, la ricorrenza del 25 Aprile avrà un luogo ben definito per tutti, stretto attorno a un monumento alla memoria di una persona che aveva dato moltissimo alla causa antifascista ma che intende ricordare gli altri protagonisti di quegli anni bui. I vari circoli dell’Anpi, sulla scia del grandissimo lavoro svolto da Pampagin, hanno intenzione di ricostruire altre esperienze e altre storie. Operazione a cui anche noi ci associamo.
Ivan B. Zabeo
Fonti:
Una stele per Romeo Isepetto – a cura del Comitato Pro Romeo Isepetto
14 settembre 2014: Scopertura della Stele – Intervento di Irene Barichello
Il Comune di Vigonovo, in collaborazione con la Regione del Veneto, celebra il Centenario della Grande Guerra proiettando nella Sala Polivalente, alle ore 20.30, il film Fango e Gloria di Leonardo Tiberi (anno 2014 – durata 90 minuti). Fango e Gloria mischia una parte di di fiction con interessanti materiali di repertorio provenienti dall’Archivio Storico dell’Istituto Luce, sottoposti a procedimenti di colorazione e di sonorizzazione. La serata verrà introdotta dall’attore Giacomo Rossetto. L’ingresso è ibero fino ad esaurimento dei posti.
DOLO. Un tratto del lungargine del Naviglio Brenta sarà dedicato al capitano dei lagunari Riccardo Bucci, scomparso il 23 settembre 2011 a 34 anni ad Herat in Afghanistan. La decisione è stata presa dalla giunta comunale di Dolo su proposta dell’assessore all’istruzione Cecilia Canova. La zona che sarà intitolata al militare del lagunari si trova in pieno centro a Dolo sul ramo principale del Naviglio Brenta. Per la precisione è il tratto che va dall’ex pista di pattinaggio di via Fondamenta fino al Foro Boario.
Riccardo Bucci, milanese d’origine ma residente a Dolo e che prestava servizio nel Reggimento lagunari Serenissima, il 23 settembre 2011 era di ritorno con dei commilitoni da una “missione di collegamento” a bordo di un blindato Lince quando, a una ventina di km dalla base Camp Arena a Herat, è rimasto vittima di un incidente stradale nel quale hanno perso la vita anche il caporal maggiore scelto Mario Frasca di 32 anni e il caporal maggiore Mario Di Legge di 28 anni.