Dolesi al Fronte. La Prima Guerra Mondiale – di Ivan B. Zabeo

L’OPERA

Al termine di una laboriosa opera di ricerca d’archivio, viene presentato al pubblico il libro Dolesi al fronte. La Prima guerra mondiale di Ivan Bruno Zabeo, presidente dell’associazione Riviera al Fronte. Il libro, il primo della collana Riviera al Fronte, edita grazie alla casa editrice Mazzanti, presenta le prefazioni del Sindaco della Città Metropolitana Luigi Brugnaro, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Dolo Matteo Bellomo e del Prof. Antonio Varsori della Facoltà di Scienze Politiche a Padova.

L’opera vede il patrocinio del Comune di Dolo ed è stata stampata grazie all’aiuto di Banca Mediolanum, sede di Camponogara, e di Curiotto Arredamenti di Sambruson.

Il libro racconta le storie dei 186 soldati del comune di Dolo caduti durante la Grande Guerra e affronta anche le cause e le conseguenze del conflitto, oltre a offrire un focus sulla storia del territorio tra il 1915 e il 1918.

Durante le presentazioni è possibile acquistare il libro; in alternativa è acquistabile presso l’edicola Stradiotto Cav. Umberto (Dolo, Via Mazzini) e presso l’edicola Muta (Dolo, Via Cairoli).
Il ricavato dell’operazione sarà destinato al reparto di pediatria dell’Ospedale di Dolo per l’acquisto di monitor per controllare il battito cardiaco dei bambini.

L’AUTORE

Ivan Bruno Zabeo, nato a Dolo il 23 luglio 1986, si è laureato in Politica Internazionale e Diplomazia a Padova ed è stato fondatore e presidente dell’ass.ne “Riviera al Fronte“.

Don Luigi Janes, cappellano militare ad Arino

Don Luigi Janes nacque a Polcenigo (PN) il 13 giugno 1891, dai

Il cappellano militare Don Luigi Janes
Il cappellano militare Don Luigi Janes

coniugi Giuseppe e Maria Nardi;  è ordinato sacerdote il 9 maggio 1915 e nello stesso anno prese parte, quale cappellano militare dell’8° Reggimento Alpini, Btg. Tolmezzo, alla Grande Guerra.
Per i fatti cui fu protagonista sul Pal Piccolo (Carnia) nei giorni 26 e 27 marzo 1916 fu insignito di una prima Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “Si recava volontariamente sul campo della lotta, dove, oltre ad esercitare il proprio ministero, noncurante del pericolo e con spirito di elevata abnegazione, soccorreva i feriti, cooperava a salvataggi e prestava aiuto all’opera degli ufficiali medici“.

A distanza di qualche mese, in occasione degli scontri avvenuti sul Pal Grande (Carnia) il giorno 29 giugno 1916, ricevette una seconda Medaglia di Bronzo per il seguente motivo: “Cappellano militare, in giorni d’intenso bombardamento, frequentemente si portò nei punti più battuti, per l’esercizio del proprio ministero presso i feriti e morenti, sempre sprezzante del pericolo, portando dovunque la sua parola di conforto. Fu anche di forte aiuto nello sgombro dei morti e feriti, prestandosi, ove il bisogno lo richiese, alla prima cura di questi ultimi“.

Comandato poi a prestare la sua opera presso l’Ospedale da campo n. 203 di Pianiga/Arino, di cui si è già accennato in un precedente articolo, egli vi esercitò il mandato fino alla fine del conflitto.
Relativamente all’Ospedale da campo n. 203 non sono molte le informazioni reperite. Una, però, è possibile sottoporla alla vostra attenzione. Si tratta di una cartolina, individuata in internet, spedita a casa da uno dei numerosi degenti che qui vennero ricoverati e che probabilmente si affidarono al conforto cristiano di Don Luigi.

Cartolina spedita il 16 novembre 1918 dall'Ospedale da campo n. 203 di Arino di Dolo
Cartolina spedita il 16 novembre 1918 dall’Ospedale da campo n. 203 di Arino di Dolo

Don Luigi Janes, arciprete di Azzano Decimo
Don Luigi Janes, arciprete di Azzano Decimo

Qualche anno dopo, don Luigi lo si ritrova presso l’arcipretura di Azzano Decimo (PN), di cui aveva preso formale possesso l’8 dicembre 1931; dopo una parentesi lavorativa nel comune azzanese durata un decennio, durante il quale aveva rivestito anche la carica di vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della Cassa Rurale di San Pietro Apostolo – salvo diventarne presidente negli anni ’32-’37 -, Don Luigi Janes venne trasferito nella parrocchia di Teglio Veneto.

Fonti:

http://www.ilpopolopordenone.it

http://www.noialpini.it/cappellani-decorati-15-18.htm

http://www.parrocchiaazzanodecimo.it

http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/#

http://fotoalbum.virgilio.it/ellelory/cartaceo/cartoline-1/tematiche/storiapostale/cartolinaospedaleda.html

Alberto Donadel

Gagliardetti della Memoria: Bucci Riccardo

Riccardo Bucci nacque a Milano il 1° settembre 1977. Le informazioni sulla sua vita le si apprendono prevalentemente dal libro scritto dalla moglie Roberta Nicora (“Lettera a Clelia. C’era una volta Riccardo Bucci, tuo padre“) e da alcuni articoli apparsi sulle principali testate giornalistiche, prime tra tutte Il Gazzettino.

Il Capitano Lagunare Riccardo Bucci
Il Capitano Lagunare Riccardo Bucci

Dopo gli studi superiori, Bucci si era arruolato nel corpo degli Alpini divenendo militare di professione. La sua vita militare fu sempre in salita, partendo da Soldato semplice era divenuto in breve Maresciallo. Nel tempo libero concessogli in caserma, riuscì a studiare e a laurearsi in Scienze Organizzative.

Nel 2004 incontrò la futura moglie Roberta, cui si legò profondamente, nonostante gli impegni imposti dal suo lavoro. E’ infatti lei, nel suo libro, che racconta la loro storia d’amore, fatta di missioni all’estero di lui e periodi trascorsi assieme in Italia.

Nel 2004, per una durata di sei mesi, Bucci fu impegnato in una prima missione in Bosnia, Paese nel quale fece ritorno per un mese nel 2006; affrontato il concorso apposito, divenne Tenente presso il 6° Reggimento Alpini di Brunico (BZ). Ottenuto il trasferimento in Veneto, nella caserma del 1° Reggimento Lagunari “Serenissima” di Malcontenta, Bucci prese casa a Sambruson, dove finalmente, il 2 dicembre 2006, sposò l’adorata Roberta.

Nel 2008 partì per sei mesi per l’Afghanistan, in seno alla forza di Pace NATO cui anche l’Italia faceva parte. Tornato in Italia nell’ottobre dello stesso anno, poté passare molto più tempo in famiglia. Il 2 agosto 2010 nacque Clelia, unica figlia avuta dalla coppia; a tal riguardo, la moglie ebbe modo di sottolineare che con la bambina egli fu un padre amorevole, dolce e premuroso.

A gennaio 2011 Riccardo Bucci partì per una fase di addestramento in Valle d’Aosta, preludio di una futura missione in Afghanistan. Nonostante gli impegni lavorativi, quando ne aveva la possibilità faceva di tutto per ritornare a casa e restare il più possibile a contatto con la sua famiglia.

Riccardo Bucci, a destra, con un commilitone nella sua tenda a Herat (Afghanistan)
Riccardo Bucci, a destra, con un commilitone nella sua tenda a Herat (Afghanistan)

Il 2 maggio pervenne l’ordine di partire alla volta dell’Afghanistan, nella Provincia di Herat. Qui egli partecipò all’operazione “ISAF” (International Security Assistance Force) come supporto al Governo locale. Bucci faceva parte degli OMLT (Operational Mentoring Leason Team), in qualità di addestratore dell’ANA, l’esercito nazionale afgano. Il compito del gruppo era quello di addestrare i militari a cui sarebbe spettato il compito di garantire ordine e sicurezza in quelle terre. Da questa zona del mondo, egli riuscì a fare ritorno in occasione del compleanno della figlia, salvo dover ripartire una decina di giorni dopo.

Il 23 settembre 2011, di ritorno alla base italiana di Herat, il Lince su cui viaggiavano il Tenente Bucci, il Caporale Maggiore Scelto Mario Frasca ed il Caporale Maggiore Massimo di Legge, si ribaltò. Per i tre uomini non ci fu nulla da fare; beffa più grande del destino, Bucci sarebbe dovuto rientrare in Italia di lì a un mese.

Le salme dei tre militari vennero trasferite all’Aeroporto di Roma il 25 settembre e da qui, sempre su un C-130 dell’Aeronautica Militare, il corpo del Tenente venne trasferito a Venezia. I funerali si tennero il 26 settembre nella chiesetta di Sant’Ambrogio a Sambruson di Dolo, rivelatasi troppo piccola per l’afflusso di persone che vollero partecipare alle onoranze. Oggi Riccardo Bucci, elevato al grado di Capitano, riposa nel cimitero comunale di Dolo.

Alla memoria del Capitano Bucci, il Comune di Dolo ha dedicato un tratto di argine dell’Isola Bassa.

La consegna del Gagliardetto della Memoria a Roberta Nicora, moglie del Cap. Bucci
La consegna del Gagliardetto della Memoria a Roberta Nicora, moglie del Cap. Bucci

Fonti bibliografiche/sitografiche:

Roberta Nicora 2014: “Lettera a Clelia. C’era una volta Riccardo Bucci, tuo padre“, ed. Grafiche Antiga S.p.A., Crocetta del Montello (TV) 2014;

http://ilgazzettino.it/NORDEST/VENEZIA/incidente_in_afghanistan_dolo_piange_la_morte_del_tenente_riccardo_bucci/notizie/164120.shtml

http://www.ilgazzettino.it/index.php?p=articolo&id=164039&sez=MONDO

http://www.associazionelagunari.it/notizia_2012_09_23_dolo_cerimonia_cap_bucci.htm

Alberto Donadel

Gagliardetti della Memoria: Andrea e Cesare Brigo

Abbiamo parlato sempre di casi di soldati presi singolarmente, ma questa volta vogliamo ricordare invece due fratelli deceduti durante la Prima Guerra Mondiale: Andrea e Cesare Brigo. Prima però di procedere con le loro storie vogliamo lasciare spazio al messaggio lasciato dalla nipote Annalisa, a nome della famiglia.

Il 25 aprile 2015 è stato un giorno speciale perché siamo stati invitati dal Presidente dell’Associazione Riviera al Front, Ivan Zabeo, e dall’Assessore alla Cultura Antonio Pra, che ringraziamo sentitamente, a ritirare i riconoscimenti per i nostri famigliari che hanno combattuto al fronte nella Prima Guerra Mondiale. Nella solenne atmosfera della sala Consigliare del Comune di Dolo, alla presenza di innumerevoli autorità, con grande commozione abbiamo ricevuto i Gagliardetti per le relative campagne di guerra: per Andrea e Cesare Brigo, fratelli del nonno paterno, periti in seguito alle gravi ferite subite, e per Umberto Martellato, nonno materno, sopravissuto ed insignito di Medaglia d’Oro e Cavaliere di Vittorio Veneto per un significativo atto di eroismo. Mi pervade un grande senso di riconoscenza, per il grande sacrificio di questi ragazzi, per una guerra che forse si poteva evitare, come si dovrebbero evitare tutte le guerre! Non dobbiamo dimenticare che ci hanno lasciato in eredità un’Italia libera e democratica, che dobbiamo custodire gelosamente, affinché il loro grande sacrificio non sia stato vano.

Annalisa Brigo

Andrea Antonio e Cesare Brigo nacquero a Sambruson, figli di Luigi, contadino, e della moglie Santa Giovanna. Andrea era nato nel 1890, mentre Cesare era di sette anni più giovane.

Andrea, matricola 17702, a fu mobilitato il 1 giugno 1915 e a distanza di pochi giorni, a 25 anni, fu assegnato all’87° Fanteria, Brigata Friuli, che fu prima mandata a Bassano del Grappa e poi avvicinata al fronte isontino, a Palmanova. Il 20 agosto, per la prima volta, lui e gli altri soldati dell’unità si appostarono nelle trincee della zona di Monfalcone. Il battesimo del fuoco per i fanti del Reggimento arrivò il 12 ottobre, quando il primo battaglione partecipò ai combattimenti su quota 93.
Poco prima della terza battaglia dell’Isonzo Andrea fu inviato nel 31° Fanteria, Brigata Siena, operante a Castelnuovo. L’obiettivo della battaglia era la conquista della cosiddetta ‘trincea delle frasche’, così chiamata per via dei rami che la nascondevano alla vista dei ricognitori aerei italiani. Gli assalti cominciarono il 21 ottobre e durarono tre giorni. Solo il 23 gli italiani s’impossessarono della prima linea nemica ma si trattava di un successo effimero poiché la notte seguente furono ricacciati dai vecchi difensori. In occasione della battaglia il comandante della Brigata fu destituito temporaneamente dall’incarico: il 22 ottobre si realizzarono tre balzi in avanti, a cominciare da quello delle 10 della mattina fino a quello delle 14 pomeridiane. Visti i risultati insoddisfacenti, il comandante, Maggiore Generale Federico Pastore, decise di infrangere un ordine che avrebbe portato al quarto assalto. Dopo nuovi colpi di mano continui, con protagonista il 32° reggimento, l’intera Brigata fu portata a Palmanova per riorganizzarsi, passandovi le feste di Natale.

In previsione di una possibile offensiva austroungarica in Trentino, a marzo la Siena fu dislocata tra Grigno e Strigno, nella zona di Trento, mentre due battaglioni erano stati schierati lungo il torrente Maso e la Val Maggio. Dopo un attacco che coinvolse il 32° sul monte Carbonile e su Spigolo Frattasecca, nella zona di Panarotta, tra il 14 e il 16 aprile il comando di divisione decise di spostare la Brigata sulla linea tra Cima Manderiolo e Sant’Osvaldo. Dopo tre giorni di serrati combattimenti corpo a corpo, tra il 6 e il 9 aprile, la mattina del 16 aprile i tirolesi avviarono le prove per la Strafexpedition del mese dopo con un attacco su Sant’Osvaldo, travolgendo il secondo battaglione del 31° e costringendolo a ripiegare a Volto e poi sul torrente Larganza, in località Roncegno Terme. Secondo lo storico ed ex soldato dell’esercito austroungarico Heinz Von Lichem, le spallate austriache di aprile sull’Armentera risultarono determinanti per lo sfondamento di maggio perché fu aperta una breccia: in questo settore gli avversari sprigionarono la loro forza lungo tutta la linea del Trentino, seguendo il Brenta e l’Adige. Nella serata del 15 maggio gli austroungarici riuscirono a sfondare a Villa Ceschi, con la Siena costretta all’arretramento, svolto fino al 22 maggio, inizialmente occupando la linea Villa Hippoliti e Moschene (il 16), poi Cima Dodici (il 18) e, infine, stabilendosi a difesa di monte Civaron e a Ospedaletto.

Durante la ritirata Andrea fu ferito in modo grave: l’8 giugno partì dal fronte a causa di una anchilosi parziale del gomito destro provocata da un’arma da fuoco. Portato a Roma, restò in cura fino al 2 febbraio 1917. La convalescenza durò un anno e l’8 giugno tornava a fianco dei suoi compagni, con la Siena posizionata a Jamiano. Dopo un periodo di riposo durante l’ultima decade di luglio, tra il 1 e il 16 agosto occupava la linea di Komarje.
Non guarì del tutto dalla ferita occorsa a Ospedaletto nel giugno 1916. Il 1° settembre fu mandato in licenza straordinaria per curarsi dai postumi della ferita subita al braccio destro e della tubercolosi polmonare. La sofferenza del fante durò altri due mesi. Alle ore 16 del 19 novembre morì nella sua casa di via Alture 175 a 27 anni.

Mentre Andrea consumava gli ultimi giorni al fronte sul Carso, il fratello Cesare cominciava la sua guerra. Arruolato il 16 agosto e iscritto alla prima categoria con la matricola 21989, due giorni dopo veniva assegnato al deposito del 55° Fanteria, nella Marche, con sede a Treviso. Dopo la ritirata dall’Isonzo le forze armate italiane dovevano essere riorganizzate e Cesare fu assegnato per quattro giorni al 265° Fanteria, nella Lecce, appostatasi sulle Grave di Papadopoli, giusto in tempo per contribuire a bloccare l’avanzata del nemico che, grazie a un ponte di barche, stava superando il Piave. Il 20 novembre fu inviato nella Torino, nell’82° Fanteria, che operava a poca distanza dalla Lecce. Il mese di dicembre, passato tra Candelù e Maserada, fu di tregua non dichiarata, utile ad entrambi gli eserciti per riorganizzarsi; tra il giorno di Natale e l’inizio di febbraio Brigo e i compagni furono ritirati a Treviso per poi ritornare, tra febbraio e maggio, a presidio della zona del Sile, tra Ca’ del Negro e Salsi.

Nel primo giorno della battaglia del Solstizio (15 giugno 1918) l’82° era in prima linea e la sera gli imperiali oltrepassarono il fiume creando una testa di ponte a Capo Sile; le cose sembravano mettersi male, ma il terzo battaglione riuscì a ricacciarli; gli asburgici attaccarono nuovamente all’alba del 18, sempre nella parte presidiata dal terzo battaglione, trovando nuovamente un baluardo insormontabile. Dopo due giorni di tregua fu la volta della Torino ad andare all’attacco: lungo tutto il settore da essa controllato, la Brigata cercò di passare il Piave realizzando azioni dimostrative nel settore di Jesolo; il 22 giugno l’82° sfondava a Ca’ Massocco e riusciva a catturare 270 uomini e molto materiale bellico. L’ultima fase di scontri prima del riposo vide la Torino attaccare la Piave Vecchia, dove il campo di battaglia era paludoso e ricco di vegetazione, favorendo gli imperiali nell’allestimento di una buona linea di difesa. Nonostante tutto, la fanteria italiana riuscì, dopo due giorni di scontri, ad impossessarsi di importanti posizioni, a catturare 300 prigionieri e altro materiale bellico. La prima fase della battaglia del Solstizio si concluse con un successo ma in quei giorni la Brigata, con l’81° che stava combattendo a Meolo, perse più di 800 uomini.
Dopo essersi riorganizzata, a inizio di luglio la Torino passò alla nuova controffensiva per ricacciare le ultime sacche nemiche al di là del fiume. Il Reggimento di Brigo, nonostante il campo insidioso e inondato, grazie all’ardimento di alcune pattuglie riuscì a raggiungere Bova Favaretto. La forza della Brigata italiana era implacabile e gli austroungarici, ormai battuti, passarono il Piave sulla sponda sinistra. I soldati dalla mostrina color giallo-blu presero così posizione a difesa del tratto tra Ca’ Bressanin e il mare, ottenendo il supporto della Regia Marina. Dopo aver respinto con tenacia gli austroungarici e averli ricacciati al di là del fiume, la Brigata fu mandata in riposo a Cavallino. Le gesta della battaglia del Solstizio furono premiate con la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Il periodo di riposo durò qualche settimana e il 13 agosto la truppa fu spostata prima a Ca’ Vianello e, pochi giorni dopo, a Badoere. La Torino era però destinata a cambiare il versante del fronte: dal Piave si passava alla Val Giudicarie. Il 1 ottobre la Brigata si collocava così sulla linea tra Monte Melino e Levanech, in attesa di passare all’attacco in quella che sarebbe divenuta la battaglia finale. Mentre sul Piave e sul Grappa le fanterie combattevano già da giorni, il 3 novembre la valle risultava ormai sgombra da qualsiasi forza nemica, ormai in rotta. Quel giorno, partendo da Comlino, la Torino conquistava senza sparare un colpo gli abitati di Lardaro, Biondo e Trone. Infine, il 4 novembre, giorno dell’armistizio, assieme agli arditi, i fanti dell’82° entravano a Mezzolombardo, mentre il Reggimento gemello proseguiva per Bolzano.
La guerra era finalmente finita, ma la vita di Cesare sarebbe proseguita per poco tempo: rimasto alle armi per terminare il periodo di ferma, fu trasportato all’ospedale militare di Roma; il 24 maggio 1920 fu riformato e mandato a Sambruson. Non guarì e morì a 22 anni il 20 luglio 1920 nella casa in via Alture.

Annalisa e Bruna Brigo ritirano il Gagliardetto della Memoria in onore dei soldati Andrea e Cesare Brigo

Fonti:

  • Diari delle Brigate Siena, Torino, Lecce, Friuli
  • Heinz von Lichem: La guerra in montagna 1915 – 1918. Il fronte dolomitico
  • Fogli matricolari di Andrea e Cesare Brigo, conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Redento Berno

Redento Berno, matricola 19749, era nato a Dolo il 20 luglio 1886. Figlio di Pietro, muratore trentenne, e di Teresa Mingardo, fu catturato durante la ritirata del Piave. Prima della guerra lavorava seguendo le orme del padre; poi, nel marzo 1916, fu chiamato a combattere.

Da quanto si apprende dal foglio matricolare, Berno non effettuò il servizio di leva con gli altri nati del 1886 perché riformato ma fu chiamato alle armi come imposto dalla mobilitazione del 23 maggio 1915. L’11 marzo 1916 fu rivisitato dai medici del distretto militare di Venezia e il 29 aprile fu mobilitato. Si presentò nel 56° Fanteria, Brigata Marche, ma la permanenza nell’unità fu breve: il 31 luglio aveva già cambiato unità e, con il ruolo di mitragliere Fiat giunse sul monte Sabotino, settore controllato a partire dal 20 maggio dal 77°, Brigata Toscana.

Fino all’aprile 1917 Berno visse alcuni dei momenti più importanti del conflitto, legati soprattutto alla conquista del monte, reso un’autentica fortezza da parte dei difensori: a partire dal maggio 1915, i difensori galiziani avevano creato un sistema apparentemente imprendibile formato da gallerie, tunnel e casematte di cemento armato per le mitragliatrici in cima alla montagna. Il sistema sfruttava al meglio il lato a strapiombo tra le quote 609 e il dente di quota 572, posizionandovi i comandi e altri vari servizi; erano stati costruiti vari nidi di mitragliatrice e di mortaio, raggiungibili facilmente grazie ai camminamenti e alle scalinate, mentre una galleria facilitava lo spostamento dei soldati dalla retrovia alla prima linea e tutte le entrate erano protette da reticolati. Il Sabotino era servito dall’elettricità e dall’acqua corrente e una teleferica lo collegava con il fondovalle. Solitamente gli italiani assaltavano sempre da nord-ovest, sul lato più favorevole, che si poteva sfruttare grazie alle gobbe sulla cresta e gli avvallamenti sul fianco. Fritz Weber, però, sottolineava che l’impianto difensivo del monte reggeva solo se gestito da una guarnigione che lo conosceva molto bene. Pochi giorni prima della VI battaglia dell’Isonzo arrivò il 37° Reggimento di fucilieri dalmati, poco esperti sulla gestione del sistema difensivo. Ecco che il forte naturale, incredibilmente corazzato, diventava allo stesso tempo vulnerabile.

Nello schema della battaglia il 77° doveva agire ai piedi del monte assieme a due battaglioni della Brigata Trapani. L’attacco scattò la mattina del 6 agosto, anticipato dal consueto bombardamento dell’artiglieria, iniziato alle ore 7. Alcune pattuglie furono mandate in avanscoperta per controllare lo stato di efficienza dei reticolati; constatato che erano distrutti, alle ore 16 il grido «Savoia!» spezzava il silenzio e dava inizio alla battaglia. La Toscana conquistò il Sabotino e alcune truppe si spinsero sull’Eremo di San Valentino e San Mauro, salvo poi essere ricacciati dall’abitato dal 23° Reggimento dalmata.

Gli austroungarici, colpiti dalla perdita del monte e della città di Gorizia, il 7 agosto contrattaccarono impegnando gli italiani in un disperato corpo a corpo ma invano, perdendo moltissimi uomini tra morti e feriti e almeno 700 prigionieri; la situazione degli imperiali si aggravò quando furono presi alle spalle dalla Abruzzi, che il giorno prima si era asserragliata a Oslavia. Il monte Sabotino era definitivamente conquistato: al secondo ultimatum di resa, i difensori dell’avamposto risposero con il lancio di granate e spari di fucile. Gli italiani diedero alle fiamme le caverne. La battaglia del Sabotino costò la vita a 6310 italiani, i feriti furono 32784 e i dispersi 12127. La Toscana perse 1400 uomini e nella notte a cavallo del 14 agosto fu ritirata per riordinarsi a Ca’ delle Vallade, a Cormons. Fu insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Fino a metà settembre gli uomini restarono in riposo; dopo un altro breve periodo sul Sabotino, furono spostati nella zona di Nad Logem. Si era alla vigilia della VII battaglia dell’Isonzo e la Toscana entrò in scena tra il 9 e il 12 ottobre per un assalto al Veliki Hribach, nella zona di Loquizza, e del monte Pecinka. Tutte le posizioni situate nella parte occidentale del Veliki furono conquistate e il giorno di Ognissanti la cima del monte fu definitivamente presa. L’obiettivo diventava quindi il monte Fajti; gli austroungarici cercarono di distogliere l’attenzione degli italiani dalla sua conquista, impegnandoli nuovamente sul monte perduto il giorno precedente. La Brigata di Berno, vistasi minacciata alle spalle, accerchiò gli imperiali in una sacca e dopo quest’operazione, assieme al resto della truppa, puntò e fece suo il Fajti, catturando 1500 prigionieri tra cui il comandante della 55° Brigata austroungarica. Il colpo inferto fu pesante: il 3 novembre il comando austroungarico diede l’ordine di bombardare il monte e di contrattaccare. La Toscana, che nell’azione dell’artiglieria aveva subito gravi perdite, non indietreggiò e, dopo quattro giorni di scontri, costati quasi 1600 uomini, fu ritirata a Palmanova.

Passato l’inverno 1916 – 1917 Berno esaurì la sua esperienza nella Toscana e fu assegnato alla 258^ compagnia di mitraglieri Fiat alla dipendenza del 37° Fanteria, Brigata Ravenna, che, dopo 5 mesi ininterrotti di prima linea, dal febbraio si trovava nel settore di Vertojba – Merna. Emerge un dubbio quando si parla di questo frangente nella vita di Berno: il 9 aprile 1917 si sposò con Luigia Pauletto, ma non sappiamo se era in licenza a Dolo oppure se è avvenuto per procura.

Un mese dopo l’arrivo al reparto, Berno era di nuovo catapultato in combattimento. L’obiettivo della X battaglia dell’Isonzo era la conquista dell’inferno di Vertojba, posizione ritenuta inespugnabile. Dopo 60 ore di bombardamenti, tra il 14 e il 16 maggio la fanteria italiana uscì dalle trincee e cercò inutilmente di far proprie le posizioni di quel settore del fronte, perdendo 350 uomini.

Dopo le sconfitte, la Ravenna fu posizionata a Kambresko. Era pronta l’offensiva della Bainsizza e doveva impossessarsi della strada che da Chiapovano portava al monte Rokel. Il 24 agosto scattava l’offensiva e dopo violenti scontri alcuni battaglioni si attestarono su quota 895, a Ravne na Koroskem. Altrettanta fortuna non ebbe il 38°; l’avanzata, quindi, era posta tutta sulle spalle del 37°, che il 26 conquistò le alture antistanti al Volnik, a est di Berg, caduta a sua volta il 28, salvo poi abbandonarlo a causa del violento fuoco del nemico. In poche giornate furono messi fuori combattimento 1345 uomini. Il 31 agosto la Ravenna andò a riposo prima a Podresca di Prepotto e poi a Canale.

Iniziata l’offensiva austro-tedesca il 24 ottobre nella zona di Tolmino, la Brigata si trovò schierata sulla linea Koprivsce – quota 814 – quota 725. I primi assalti nemici furono respinti ma ormai il fronte di Caporetto era stato sfondato: come tutte le Brigate lungo il fronte carsico anche la Ravenna cominciò la ritirata protetta dalla retroguardia. Il 26 ottobre iniziava il percorso per raggiungere il Piave: passato l’Isonzo a Plava, raggiunse San Vito al Torre il 27; il 30, invece, era a Santa Maria di Sclaunicco. Una volta raccolti i superstiti del 38° Fanteria, sopraffatto a Lestizza, riprese la marcia e passò il Tagliamento sui ponti di Madrisio. Infine, si mise in salvo il 5 novembre dopo aver passato il Piave.

Purtroppo, però, tra i superstiti della ritirata non compariva il nome di Redento Berno: infatti fu catturato il 2 novembre. L’ultima notizia che abbiamo di lui riguarda la data e il luogo del decesso: portato nel campo di prigionia di Villach, spirò il 3 ottobre 1918 a causa di una malattia. Il suo corpo riposa nel cimitero militare del campo.

Fonti:

Diario della Brigata Toscana e della Ravenna

Per la battaglia del monte Sabotino: CARLO MEREGALLI (prefazione di Giulio Guderzo) – Grande Guerra. Tappe della Vittoria – Ghedina  e Tassotti editore, 1996, II edizione

Sito Ministero della Difesa, Onoranze per i Caduti in Guerra

Archivio Comunale di Dolo

Gianfranco Berno ritira il Gagliardetto della Memoria in onore di Redento Berno

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Ferruccio Boschetti

Ritornando a parlare dei soldati che abbiamo ricordato durante la cerimonia di consegna dei Gagliardetti della Memoria, parliamo ora della storia di Ferruccio Boschetti. Prima di farlo, pubblichiamo il ricordo che Fernanda Giantin, nipote del Tenente, ci ha rilasciato.

LA MEMORIA VA COLTIVATA COME IL CONTADINO COLTIVA LA TERRA

Ferruccio era il fratello più giovane della mia nonna paterna Lavinia, figura fondamentale per la mia educazione fin dall’infanzia. La memoria per lei era un culto perché dà identità e appartenenza. Come fa un paese, una famiglia a dimenticare la sua storia, a non sapere chi siamo e di quali esempi ci nutriamo? La memoria va coltivata con amore come il contadino coltiva la terra, la rivolta, la concima; darà i frutti alle nuove generazioni. Alla mia nascita Ferruccio non c’era più da vent’anni. C’era la sua immagine e nel tempo il ricordo continuo di lui, delle sue virtù civili e militari, è entrato nella mia mente e nel mio cuore. Sapeva esprimere con facilità il suo affetto verso la famiglia. Lavinia mi leggeva i pensieri con cui accompagnava le foto che inviava dal fronte; manifestavano grande sensibilità, serenità e senso del dovere. Ma per il Centenario della Grande Guerra, il suo non sarà solo un nome sconosciuto scolpito sulla lapide dei Caduti di Arino ma una storia viva raccontata con passione ed impegno dai ragazzi dell’Associazione Riviera al Fronte. Si compie quanto la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano promesso a Ferruccio sul memoriale del trigesimo: “Resterai tu obliato nel dì che verranno? Non pensarlo!”. Ma mai avrebbero immaginato che dopo un secolo la sua vita e il suo sacrificio fossero raccontati alla gente della Riviera del Brenta, a chi frequenta Internet e che in suo onore fosse consegnato alla nipote il Gagliardetto della Memoria. Le nonne e la nipote ringraziano.

Fernanda Giantin

Vigonovo, 7 agosto 2015

Ringraziamo quindi Fernanda che, grazie alla sua passione per la Storia e l’amore nei confronti dei suoi parenti che andarono al fronte, ha conservato del materiale importante, composto di foto e manoscritti, prestatoci per raccontare la vita del tenente Ferruccio Boschetti, matricola 1308 e poi 20982, figlio di Giovanni Battista e di Augusta Fabris, Medaglia d’Argento al Valor Militare durante la Grande Guerra e reduce della campagna di Libia, disperso durante la battaglia di Monastir del 1916.

Ferruccio Boschetti in abiti civili. Appena sopra al braccio sinistro si puà intravedere una piccola medaglietta d’argento. Fu conquistata nell’anno 1900 a Siena, in occasione di una gara di scherma organizzata dall’Esercito

Il registro di leva contenuto nell’Archivio Comunale di Dolo indica che Boschetti era nato ad Arzergrande, Padova, il 29 aprile 1878. La famiglia era originaria della Liguria e una volta adulto Ferruccio tornò a Molassana, Genova, dove trovò lavoro come impiegato e creò una famiglia, allevando due figli; la madre Augusta e la sorella Lavinia restarono invece nel Veneziano, la prima ad insegnare alla scuola elementare di Arino, la seconda a Vigonovo. Boschetti aveva combattuto in Libia nel 1911-12, ottenendo i primi gradi e venendo promosso fino ad essere sottotenente.

Con l’inizio della guerra contro l’Austria-Ungheria Boschetti fu richiamato e assegnato a vari battaglioni della Milizia Territoriale per via dell’età. Non partì da solo: con lui c’era l’inseparabile macchina fotografica, utilizzata nei momenti di tregua. Le foto originali, datate e segnate con il luogo dove furono scattate, sono arrivate ai giorni nostri e Fernanda ci ha permesso di pubblicarne qualcuna.

Ferruccio Boschetti sul monte Novegno, inverno 1916

Boschetti passò la prima parte del conflitto sull’altopiano di Folgaria, sul Sommo Alto, per lavorare alla fortificazione e al presidio dell’area. All’inizio del 1916, invece, giunse in Trentino anche la Brigata Cagliari, alla quale il battaglione di Boschetti fu aggregato fino alla campagna di Macedonia. La Cagliari fu chiamata a presidiare il settore di Tonezza a febbraio, tra i monti Maronia, Coston e Soglio d’Aspio, e fino all’inizio della Strafexpedition il fronte fu posto in sicurezza senza grossi problemi. Il più grande nemico in quell’inverno infernale erano il gelo e le valanghe: una foto scattata nel marzo 1916 (a fianco) mostra gli effetti della grande nevicata che aveva investito il monte Novegno. Incredibilmente, le baracche di entrambi gli schieramenti furono adombrati da mura di neve alte fino a 5 metri.

Il 15 maggio gli austroungarici balzarono all’assalto alla prima linea italiana sull’Altopiano di Asiago. In seguito al bombardamento dell’artiglieria, la fanteria imperiale dilagò in Costa d’Agra, aggirando le forze italiane. Il terzo battaglione del 64°, a difesa del Tre Sassi, fu accerchiato e catturato, non senza lottare, mentre il primo battaglione riuscì ad evitare la stessa sorte sul Soglio d’Aspio, riuscendo a raggiungere con i superstiti Coston d’Arsiero. Questo luogo diventava la linea di non ritorno e consapevoli di questo la Cagliari impose le proprie armi su quelle nemiche, rallentando così la corsa austroungarica alla pianura.

Ferruccio Boschetti in divisa

Mentre la Cagliari veniva riorganizzata in seconda linea a Chiuppano, gli asburgici avanzarono mettendo sotto assedio il Novegno, in particolare i monti Spin e Brazome. Fu proprio su quelle posizioni che la Brigata di Boschetti fu schierata per la difesa dell’estremo baluardo d’Italia. Se nei giorni precedenti l’azione offensiva aveva disgregato la retroguardia e provocato gravi danni, nella seconda parte della Strafexpedition i difensori italiani riuscirono a resistere con audacia. La battaglia del Novegno proseguì fino alla metà di giugno, fino a quando l’Alto Comando austroungarico ordinò la fine delle operazioni e il ripiegamento su delle posizioni più difendibili. Tra le giornate più dure da ricordare c’è quella del 12 giugno, quando all’alba l’artiglieria imperiale iniziò a tirare contro gli italiani sui monti Giove, Novegno e Passo Campedello. Dopo alcune ore di fuoco martellante, il 3° e il 4° Kaiserjaeger balzarono fuori dalle trincee per impossessarsi di quelle avversarie. In due giorni, asburgici e italiani lottarono in furiosi corpo a corpo che aveva come risultato la vittoria di quest’ultimi. Il 14 giugno gli aggressori diedero sfogo alle ultime forze, l’ultimo tentativo per sfondare e conquistare così Schio e la Pianura Padana. La fanteria italiana, rimasta senza rinforzi e allo stremo delle forze, riuscì a resistere ancora una volta per altri due giorni. Boschetti osservava lo svolgimento della lotta dall’osservatorio del Rivon, da dove le batterie colpivano le truppe imperiali allo scoperto. L’Italia aveva vinto e la Cagliari era stata lanciata all’inseguimento dei fuggiaschi. Prima di abbandonare l’Altopiano dei Sette Comuni, le truppe occupavano Pria Forà, monte Brazome, monte Aralta e Roccolo dei Sogli, controllando le cime fino al 26 luglio, quando i fanti furono ritirata per rifiatare a Schio, in attesa di partire per la Macedonia.

bomba inesplosa
Ferruccio Boschetti e una bomba inesplosa austriaca sul Monte Novegno, giugno 1916

Il Novegno era stato completamente devastato e bucherellato dall’artiglieria asburgica. Gli ordigni inesplosi restavano là, in attesa di essere disinnescati e spostati. La foto a fianco mostra il sottotenente Boschetti su uno dei proiettili in questione.

Negli stessi giorni inviava a casa altre fotografie, una che ritraeva i suoi coraggiosi commilitoni. Dietro ad una di queste aveva scritto:

Ferruccio Boschetti, a destra, con i suoi commilitoni. Giugno 1916

«Ragazzi generosi, umili, figli di contadini, coraggiosi e forti che hanno sopportato la fatica, il freddo, la fame, il sonno e le sofferenze di ogni genere».

Dopo le fatiche della battaglia di Asiago, la Cagliari era destinata al fronte macedone. Prima di partire, però, a Ferruccio era stato concessa una settimana di licenza per rivedere i propri cari. Il periodo però non era abbastanza: dopo esser stato per cinque giorni in quarantena al distretto sanitario, in pochissimi giorni riuscì a salutare, per l’ultima volta, l’adorata moglie e i figli a Molassana e la madre e la sorella in Riviera del Brenta.

L’8 agosto iniziarono le attività di imbarco a Taranto per il fronte balcanico. Il trasporto della Trentacinquesima divisione e del resto del corpo di spedizione italiano nei Balcani durò quasi una settimana, con l’Adriatico infestato dagli U-Boot. Boschetti e il suo contingente arrivò salvo sull’altra sponda e in una lettera descrisse Salonicco, la città portuale dove sbarcò:

«E’ una città meticcia. Convivono Cristiani, Mussulmani ed Ebrei divisi in distretti come villaggi all’interno di una città e riconoscibili solo dal differente colore dei turbanti: bianchi per i seguaci dell’Islam, gialli per gli ebrei e blu per i cristiani. È convivenza che dura da cinquecento anni! Il panorama si presenta con alti minareti, cipressi, cupole e le eleganti residenze ottomane.

Sopravvivono i resti dell’Arco trionfale del tetrarca Galerio (fine del III – inizio del IV secolo) – 1915 l’archimandrita di Salonicco, massima autorità religiosa cittadina della Chiesa greco-ortodossa, è ospitato a bordo di una nave da guerra britannica per protezione.

Belli i nostri giovani soldati e ben vestiti; sono stati molto festeggiati ed ammirati quando sfilarono per le vie di Salonicco».

Le truppe della Cagliari dovevano combattere su un terreno molto difficile, non molto diverso da quello dell’altopiano di Asiago, anche se molto più secco e paludoso. Inoltre, si manifestavano le malattie che avevano colpito le truppe italiane in Albania, con diverse vittime: molti si ammalarono e allora il comando corse ai ripari consegnando ai soldati il chinino.

Il 27 agosto la truppa occupava il settore Akeeklise – Sarigol e ai primi di settembre controllava il settore di Krusa Balcan, fra il lago Dorjan e il forte di Dova Tepi, dove era chiamata a realizzare lavori difensivi. Il 19 ottobre i combattimenti entrarono nel vivo quando le truppe alleate decisero di sfondare a Monastir, con il comando delle operazioni guidato dai francesi. Passata la prima parte dell’autunno, la guerra sul fronte balcanico iniziava a prendere una strada ben definita: le truppe italiane sostituirono la Diciassettesima divisione francese sull’altopiano di Monastir, a 2000 metri di altezza, dove la neve era già abbastanza alta e si viveva in condizioni disperate, a dieci gradi sotto zero. Il 15 novembre iniziava il movimento e la Cagliari occupava il dente di Velusina e il colle di Ostrec. La battaglia entrava nel vivo il 17 novembre, quando l’artiglieria tedesca e bulgara martellarono la prima linea alleata. Era un tentativo estremo, ma inutile, di bloccare l’offensiva dell’Intesa, compiuta il 19 novembre con la conquista di Monastir. La Cagliari fu insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare e della Croce Francese con Palma.

Tra i primi caduti di quell’offensiva c’era anche il sottotenente Boschetti, colpito in pieno da una bomba. Il suo attaccamento ai suoi sottoposti e il coraggio fu sottolineato nella motivazione per cui gli fu concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare:

«Costante esempio di valore, durante un forte bombardamento nemico mantenne alto il morale dei propri dipendenti e mostrando animo invitto e sprezzante del pericolo, sulla prima linea sdegnava qualsiasi riparo, finché cadde sul posto colpito al petto da una scheggia di granata». (monte Velusina – Macedonia – 17 novembre 1916).

A distanza di poco più di una settimana, a Morassana e ad Arino giunse la notizia della scomparsa del povero Ferruccio. Il tenente colonnello comandante la 35° Divisione, M.L. Cravosio, scrisse alla moglie una lettera toccante, datata 27 novembre 1916:

«Con sommo dolore, comunico alla S.V. che suo marito sottotenente Boschetti Ferruccio, il 17 corr. cadeva gloriosamente colpito da granata nemica.

Conoscendo le preclari virtù dell’eroico Sottotenente, è stato promosso ufficiale per merito di guerra.

Assicuro la S.V. che farò tutto il possibile perché l’eroismo di suo marito non venga dimenticato affinché una meritata ricompensa possa lenire il dolore di tutta la famiglia.

Nel compiere il doloroso dovere, le porgo le mie condoglianze e quelle degli ufficiali tutti del reggimento e le assicuro che ciò che apparteneva al compianto suo marito le sarà rimesso a cura del deposito di questo reggimento.

Il Ten. Colonnello

Comandante Int. del Reggimento

M.L. Cravosio»

Dopo la scomparsa di Ferruccio, la madre e la sorella vissero con il dolore di non poter più vedere il loro amato congiunto e di non poter piangere sulla sua tomba; ma restava incancellabile e tramandato di generazione in generazione il ricordo e l’orgoglio di aver dato un figlio al servizio alla Patria, distintosi per l’onore e il coraggio. A pochi giorni di distanza dalla triste comunicazione, la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano dedicato un memoriale.

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Il nome del tenente Boschetti è stato ricordato in testa al monumento dei caduti di Arino. Al momento della scomparsa aveva 38 anni.

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Fernanda Giantin ritira il Gagliardetto della Memoria in memoria di Ferruccio Boschetti

Fonti:

  • Ricordi famigliari appartenenti alla famiglia Giantin;
  • Diario della Brigata Cagliari
  • Per la Medaglia al Valore: Istituto del Nastro Azzurro

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Chino Guglielmo

Guglielmo Chino: soldato semplice, caduto della Grande Guerra, parente di Andrea Cecchi, socio fondatore di Riviera al Fronte che ci ha consegnato le lettere scritte dal prozio alla famiglia e una foto.

Il soldato Guglielmo Chino

Il soldato semplice Guglielmo Chino, matricola 12912, apparteneva al 25° Reggimento Fanteria, Brigata Bergamo, era figlio di Maurizio e di Angela Scappin. Era nato a Dolo il 20 novembre 1884 in via Campo Pelà, allora vicina all’area di via Dauli, molto probabilmente nella zona dove oggi sorgono ‘Dolo 2000’ e il parcheggio del cimitero.

All’inizio della guerra, il nostro concittadino fu uno dei primi a essere richiamato alle armi: dopo l’arruolamento del 1 giugno, a luglio venne assegnato al 113° Fanteria che, assieme al 114°, componeva la Brigata Mantova. Prima di partire per il fronte, il 3 giugno Guglielmo si era sposato a Dolo con l’amata Annetta Zorzan, destinataria delle lettere che leggeremo fra poco.
Fino a metà estate 1915 il Reggimento prestò servizio in Val Lagarina, svolgendo azioni militari sul monte Baldo, a Crosano, presidiando la Vallarsa. A metà ottobre furono invece svolte importanti azioni militari culminate dal successo su quota 912, a nord-ovest di Brentonico, che portarono alla conquista dei ruderi  del castello e all’occupazione delle relative alture a nord-est della posizione e al respingimento di tutti i contrattacchi nemici. Il 1915 si chiuse con le operazioni per l’occupazione della linea Mori Nuovo – quota 163, sulla destra del fiume Adige, e con il rafforzamento delle posizioni di Madonna di Monte Albano.

All’inizio della Strafexpedition (maggio 1916), il 113° ebbe ordine di ritirarsi su posizioni difendibili, riuscendo così a resistere agli attacchi avversari. Dopo aver sventato con i propri commilitoni i tentativi di aggiramento sulla destra dell’Adige, Chino fu destinato al comando di Sacile e il 3 agosto 1916 assegnato al 25° Fanteria, Brigata Bergamo, che si trovava sul settore di Santa Lucia e di Santa Maria, senza però partecipare alle cruciali battaglie dell’Isonzo. Per circa un mese, dal 23 novembre al 14 dicembre, il 25° rimase in riposo tra Fauglis e Prepotto.E’ da questa parte del fronte che Guglielmo scrisse ad Annetta; la lettera in questione è datata mercoledì 24 agosto. È stata trascritta come sull’originale.

“Mia adorata moglie,
Subito ti do mie buone notizie come siamo stati intesi. Ora la mia salute e buonissima cosi spero dite e miei cari bambini. Dunque caro mio tesoro tu dici che tuo fratello e 17 giorni che non sapete nulla di lui sai bene che si troverà più al sicuro di me e per questo non devi appasionarti. Piu che mi dispiace che tua mama a poco bene ma spero che presto stara meglio. Dunque mia cara Anetta devi sapere che mi trovo in trincea ancora dal secondo giorno che siamo rivati e non si sa quando si avrà il cambio qui si mangia una volta ogni 24 ore ti dano umpo di caffè fredo ti dano umpo di pasta e riso come la colla mezza tassa di vino, ogni 2 giorni ti dico cose del l’altro mondo. Poi nella trincea e va pregare Idio che non piova perche ai laqua sopra e anche sotto sono 6 gioni che siamo immezo al fango perche piove sempre. Dunque mia cara anetta quello che ti recomando che non ai da pasionarti per certe cose tu devi pensare al tuo amore che si trova esposto al pericolo. Qui per ora non ce avanzate ma ci sono tutte le sere attachi e contro attachi. Basta mia cara Anetta altro non posso dirti perche con questi tagliani Non si puo parlare tanto. Ieri o ricevuto notizie da mio nipote Rodolfo dice chea ricevuto la mia fottografia midice che sta bene. Da mio Nipote Ernesto non o ricevuto neancora notizie. Delle tue lettere Neo ricevuta una solo.Guarda che miano tagliato li Capelli Perche in trincea sifa li pidocchi come lio gia Presi, ti metto dentro questo grupetto di Capelli. Quando mi scrivi manda pure sensa bolo. Allora Termino il mio scritto col baciarti te e figli e fatti coraggio come io. Ciao mia Anetta speriamo che tutto vada fenito e allora tornero a casa e si baceremo como si abbiamo sempre baraciato coi nostri cari figli. Tu tesei sognato e Pure anchio 2 volte. saluta tutti Baci ai bambini e a te stretti Bacioni. Dal Tuo Primo Amore. Marito Chino Guglielmo
Ciao
scrivi sempre
Baci e Baci”

Guglielmo soffriva molto la distanza da casa ed era triste sapendo che la moglie non godeva di buona salute dato che era in attesa di un intervento chirurgico all’ospedale di Dolo. Il 9 settembre Guglielmo scrisse:

“Ti dico che non stia pensare perche altro che pensare io non facio che piangere giorno e notte nonso chi sia quel barbaro uomo che non penza alla sua diletta famiglia, moglie e figli io o sempre pensato e sempre pensarò fino che saro questa posizione perche io non volto li ochi se non penso a te. Io la mia vita non li facia calcolo fino a che sono in prima linea e se avro la fortuna di campare pensero a sempre fino a quel giorno che potro venire a casa abbracciarti te e miei cari bambini”

Pochi giorni dopo la coppia ebbe modo di incontrarsi a Sacile grazie a due giorni di licenza concessi a Guglielmo tra il 12 e il 13 settembre. Un momento indimenticabile e che il soldato ricorda in chiusura della lettera del 17 successivo:

“Non penzare mai il male che io sto bene adio mio amore dali baci ai nostri cari bambini e prega perme. Quest ogi mentre faceva un pisolo sono vicino a Sampieri mi sono sognato dite non puoi maginarti quando mi sono svegliato pensavo quella note che abbiamo passato a Sacile. Basta Coraggio sempre Ciao Baci”

Grazie alla frequente corrispondenza con il marito, Annetta approfittava per chiedere informazioni su altri compaesani che non scrivevano più a casa. Guglielmo riusciva a comunicare molto con Dolo, anche se riceveva le lettere in ritardo. La scrittura era facilitata anche dai momenti di stasi del conflitto; altri soldati facevano mancare proprie notizie per mesi e le famiglie erano costrette a rivolgersi al Sindaco del paese, che scriveva ai comandi del Reggimento di appartenenza. Venerdì 13 ottobre Chino scrisse:

“Cara mia moglie guarda per ricevuto 5 lettere tutte suna volta per 2 ore o sempre letto. o inteso che vuoi sapere se nino Gambero lovisto nel venire o se andare io lovisto quando sono venuto giu dal fronte di Gorisia e poi non lo piu visto io son uno fronte e lui povereto si trova sun naltro io avrei molto piacere che non fosse Morto. o inteso pure di Augusto Carraro e anche di Costante sono molto dispiaciuto”
Nella stessa lettera, Chino comunicava che le condizioni della truppa erano migliorate: “dunque adesso fra un giorno o 2 vado ancora in trincea perche adesso sifa 6 giorni in trincea e 6 giorni in montagna a lavorare di barache per ripararsi del laqua e galerie per ripararsi dell canone nemico.”

Tra i colli del Santa Lucia e di Santa Maria l’inverno si stava avvicinando velocemente e le condizioni atmosferiche stavano peggiorando gradualmente. Il vero nemico dei fanti non era il soldato austroungarico, anch’egli costretto a vivere in condizioni pessime, ma il freddo, la neve e l’acqua, sia quella che cadeva dal cielo in gran quantità sia quella da bere che non arrivava mai. Il 1° dicembre 1916, alle ore 11, Guglielmo scriveva:

“Dunque mia cara Anetta non ti posso dire la vita che abbiamo fatto la notte del 22 venindo al 23. Siamo venuti su da una montagna con vento pioggia e neve non sevedevimo uno col laltro era tanto dura siamo rivati su alla mattina tutti disvigurati stanchi erimo tutti coperti di neve e fame. poi per venire qui dove si troviamo adesso abbiamo caminato 2 giorni Poi non si poteva piu andare avanti e ora anno chiamato piu di 100 autocarri fino che mi ano portato qui. Adesso siamo nei dintorni di Palmanova qui si starebe bene ma tutto il giorno mi toca fare le strusioni e mi dano anche pocho da bere ma per questo siamo tutti contenti perche siamo al momento siguri della nostra cara vita. Mia cara Anetta quanti pidochi cheo butato via in questi pochi giorni era pieno come una bestia. dunque qui si spera che prima di andare sun naltro fronte possa mandarne tutti in licenza che siamo qui che la bramiamo come il pane che simangia e poi siamo contenti di partire subito almeno che posiamo vedere ancora.”

La speranza della licenza tanto agognata rimase: dal 15 dicembre fino all’inizio della decima battaglia dell’Isonzo, combattuta nel maggio 1917, il Reggimento di Chino venne incaricato di presidiare le posizioni del Monte Debeli. La stanchezza della guerra cominciava ad affiorare e nemmeno i giorni di festa servivano a distrarre i soldati. Scriveva Guglielmo il 12 aprile:

“Mia anetta tifaccio sapere che mia domenica giorno di Pasqua e venuto Nostro nipote Rodolfo a trovarmi in trincea, ma sia fermato pocho tempo perche quelli barbari tedeschi a cominciato apprire un tremendo fuocho e io subito lo fatto scapare dalla trincea di fiancho. E io Poveretto sono stato la in trincea e mie venuto da piangere vedermi in merso nel fuocho. Basta mio amore anche questa volta lopasato per il bucho della chiave ma non ti posso dire li spaventi di questi 20 giorni sempre sotto al fuocho nemico. Mia cara Anetta te avreai da contare tanto ma sai bene che passano la censura. qui dove mitrovo Ho attrovato Mario del Caffe Comercio e anche Alesandro che era da Salmasi, tisaluta tanto. Mio tesoro tu Parli sempre della mia licenza tu ai tanta raggione ma devi sapere che in questo Reggimento nemanda via tanto. Pochi, ma adeso vicino che in questi 40 giorni mandano tutti. Basta che le cose vada tutto per bene e cosi vera il mio turno anche per me. Dunque o inteso amore di Ernesto io ho gia scritto salutelo tanto Rodolfo vimanda Baci a tutti.”

Purtroppo Chino non vedrà mai la licenza perché era in fase di preparazione la decima battaglia dell’Isonzo. Il 23 maggio la Bergamo fu mandata alla conquista delle trincee del Monte Flondar e delle posizioni sul’altura denominata quota 92. A metà giornata gli italiani conquistarono la prima linea nemica ma in serata furono costretti a retrocedere a causa della controffensiva austroungarica non solo da quella appena conquistata ma anche da quella di partenza, lasciando sul campo oltre ai morti, ai feriti e ai dispersi, anche quasi un migliaio di prigionieri. Il giorno successivo la Brigata tornò all’attacco e questa volta gli imperiali capitolarono sulle quote 92 e 43. L’avanzata proseguì: assieme alla Gaeta, il 25° occupò la linea difensiva di Flondar, nonostante il tiro dell’artiglieria e il fuoco di mitragliatrici e di bombe provenienti dal cielo da parte dell’aviazione nemica.

Chino morì nel primo giorno dell’offensiva, il 23 maggio, non si sa se nell’assalto per la presa della prima linea o nel momento della ritirata. Essendo caduto nella zona di quota 144 è molto probabile che il suo corpo fosse stato sepolto in uno dei cimiteri della zona. Poi, con la risistemazione dei campi santi e con la formazione dei sacrari di Redipuglia ed Oslavia in periodo fascista, la croce andò perduta e il corpo tumulato assieme a quello di tanti altri soldati ignoti.

Fonti:
Lettere appartenenti alla famiglia Cecchi
Archivio Comunale di Dolo
Foglio matricolare, Archivio di Stato di Venezia
Diari delle Brigate Mantova e Bergamo, ritrovati in internet

Ivan B. Zabeo

Lo scrittore John Dos Passos a Dolo con l’American Red Cross nel 1918

Quante volte abbiamo sentito parlare di Ernest Hemingway? Quante volte abbiamo letto o sentito (o addirittura visto in alcuni film) del suo ferimento a Fossalta di Piave mentre colà prestava servizio come conducente d’ambulanze per l’American Red Cross?

Ernest Hemingway, qui ritratto dopo il ferimento all'Ansa di Zenson di Piave. 1918
Ernest Hemingway, qui ritratto dopo il ferimento all’Ansa di Zenson di Piave. 1918

Se Hemingway e l’A.R.C. sono storia abbastanza nota, meno note sono le vicende vissute da “quelli della cioccolata“, ovvero da quegli spericolati ragazzi che partiti entusiasti dall’America per partecipare alla Grande Guerra si erano ritrovati a dover soccorrere – sopravvivendo – quanti più soldati feriti o morenti possibili. Tra questi ragazzi vi era anche l’autore John Dos Passos (Chicago, 14 gennaio 1896 – Baltimora, 28 settembre 1970), partito per la guerra per salvare le vite umane, allineandosi con i suoi ideali di pacifista.

Lo scrittore John Dos Passos nel 1917-1918
Lo scrittore John Dos Passos nel 1917-1918

Poco dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro l’Austria-Ungheria (7 dicembre 1917), alcune Sezioni dell’A.R.C. vennero inviate in Italia dalla Francia. Dopo aver stazionato a Milano per qualche giorno, tra il 13 ed il 25 dicembre alcune di esse partirono per il fronte del Piave. Dos Passos e l’amico Sydney Fairbanks invece (Hemingway all’epoca dei fatti qui narrati era ancora in America), furono inizialmente costretti a rimandare la partenza. Nel frattempo, però, l’azione offensiva austro-tedesca tra il Grappa ed il mare rendeva la situazione piuttosto instabile, costringendo tutte le Sezioni già in viaggio a stazionare per un tempo indefinito nelle località raggiunte. La Sezione n. 3 si fermò quindi in quel di Dolo.

Il 30 dicembre anche i ritardatari Dos Passos e Fairbanks raggiunsero il paese rivierasco, attendendo insieme al restante gruppo che “i capi…le strane e invisibili creature, dèi o demòni che agiscono dietro le quinte” decidessero sul da farsi. Durante l’attesa la Sezione n. 3 ebbe la visita del Capitano Henry B. Wilkins e del Maggiore del Dipartimento degli Affari Militari A.R.C. di Roma, Guy Lowell.

Le disposizioni tanto attese arrivarono il 6 gennaio 1918: la Sezione n. 3 sarebbe dovuta andare a Casale sul Sile. Passos e Fairbanks, però, non la seguirono. Rimasero a Dolo, senza alcuna spiegazione apparente fino al 16 gennaio, salvo raggiungere la Sezione n. 1 a Bassano del Grappa.

Così si conclude il veloce passaggio per Dolo di uno degli scrittori più noti e discussi, quale era il nostro Dos Passos, dell’America degli Anni Ruggenti. Un personaggio ed una testimonianza legata alla Grande Guerra e all’American Red Cross poco nota che meritava di essere riscoperta.

Bibliografia essenziale: Giovanni Cecchin (a ura di), “La Grande Guerra. Cronache particolari“, Collezione Princeton Ed., Bassano del Grappa 1998. Pg. 80
Altre informazioni su John Doss Passos: http://it.wikipedia.org/wiki/John_Dos_Passos

Alberto Donadel

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