Don Luigi Janes nacque a Polcenigo (PN) il 13 giugno 1891, dai
coniugi Giuseppe e Maria Nardi; è ordinato sacerdote il 9 maggio 1915 e nello stesso anno prese parte, quale cappellano militare dell’8° Reggimento Alpini, Btg. Tolmezzo, alla Grande Guerra.
Per i fatti cui fu protagonista sul Pal Piccolo (Carnia) nei giorni 26 e 27 marzo 1916 fu insignito di una prima Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “Si recava volontariamente sul campo della lotta, dove, oltre ad esercitare il proprio ministero, noncurante del pericolo e con spirito di elevata abnegazione, soccorreva i feriti, cooperava a salvataggi e prestava aiuto all’opera degli ufficiali medici“.
A distanza di qualche mese, in occasione degli scontri avvenuti sul Pal Grande (Carnia) il giorno 29 giugno 1916, ricevette una seconda Medaglia di Bronzo per il seguente motivo: “Cappellano militare, in giorni d’intenso bombardamento, frequentemente si portò nei punti più battuti, per l’esercizio del proprio ministero presso i feriti e morenti, sempre sprezzante del pericolo, portando dovunque la sua parola di conforto. Fu anche di forte aiuto nello sgombro dei morti e feriti, prestandosi, ove il bisogno lo richiese, alla prima cura di questi ultimi“.
Comandato poi a prestare la sua opera presso l’Ospedale da campo n. 203 di Pianiga/Arino, di cui si è già accennato in un precedente articolo, egli vi esercitò il mandato fino alla fine del conflitto.
Relativamente all’Ospedale da campo n. 203 non sono molte le informazioni reperite. Una, però, è possibile sottoporla alla vostra attenzione. Si tratta di una cartolina, individuata in internet, spedita a casa da uno dei numerosi degenti che qui vennero ricoverati e che probabilmente si affidarono al conforto cristiano di Don Luigi.
Qualche anno dopo, don Luigi lo si ritrova presso l’arcipretura di Azzano Decimo (PN), di cui aveva preso formale possesso l’8 dicembre 1931; dopo una parentesi lavorativa nel comune azzanese durata un decennio, durante il quale aveva rivestito anche la carica di vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della Cassa Rurale di San Pietro Apostolo – salvo diventarne presidente negli anni ’32-’37 -, Don Luigi Janes venne trasferito nella parrocchia di Teglio Veneto.
Riccardo Bucci nacque a Milano il 1° settembre 1977. Le informazioni sulla sua vita le si apprendono prevalentemente dal libro scritto dalla moglie Roberta Nicora (“Lettera a Clelia. C’era una volta Riccardo Bucci, tuo padre“) e da alcuni articoli apparsi sulle principali testate giornalistiche, prime tra tutte Il Gazzettino.
Dopo gli studi superiori, Bucci si era arruolato nel corpo degli Alpini divenendo militare di professione. La sua vita militare fu sempre in salita, partendo da Soldato semplice era divenuto in breve Maresciallo. Nel tempo libero concessogli in caserma, riuscì a studiare e a laurearsi in Scienze Organizzative.
Nel 2004 incontrò la futura moglie Roberta, cui si legò profondamente, nonostante gli impegni imposti dal suo lavoro. E’ infatti lei, nel suo libro, che racconta la loro storia d’amore, fatta di missioni all’estero di lui e periodi trascorsi assieme in Italia.
Nel 2004, per una durata di sei mesi, Bucci fu impegnato in una prima missione in Bosnia, Paese nel quale fece ritorno per un mese nel 2006; affrontato il concorso apposito, divenne Tenente presso il 6° Reggimento Alpini di Brunico (BZ). Ottenuto il trasferimento in Veneto, nella caserma del 1° Reggimento Lagunari “Serenissima” di Malcontenta, Bucci prese casa a Sambruson, dove finalmente, il 2 dicembre 2006, sposò l’adorata Roberta.
Nel 2008 partì per sei mesi per l’Afghanistan, in seno alla forza di Pace NATO cui anche l’Italia faceva parte. Tornato in Italia nell’ottobre dello stesso anno, poté passare molto più tempo in famiglia. Il 2 agosto 2010 nacque Clelia, unica figlia avuta dalla coppia; a tal riguardo, la moglie ebbe modo di sottolineare che con la bambina egli fu un padre amorevole, dolce e premuroso.
A gennaio 2011 Riccardo Bucci partì per una fase di addestramento in Valle d’Aosta, preludio di una futura missione in Afghanistan. Nonostante gli impegni lavorativi, quando ne aveva la possibilità faceva di tutto per ritornare a casa e restare il più possibile a contatto con la sua famiglia.
Il 2 maggio pervenne l’ordine di partire alla volta dell’Afghanistan, nella Provincia di Herat. Qui egli partecipò all’operazione “ISAF” (International Security Assistance Force) come supporto al Governo locale. Bucci faceva parte degli OMLT (Operational Mentoring Leason Team), in qualità di addestratore dell’ANA, l’esercito nazionale afgano. Il compito del gruppo era quello di addestrare i militari a cui sarebbe spettato il compito di garantire ordine e sicurezza in quelle terre. Da questa zona del mondo, egli riuscì a fare ritorno in occasione del compleanno della figlia, salvo dover ripartire una decina di giorni dopo.
Il 23 settembre 2011, di ritorno alla base italiana di Herat, il Lince su cui viaggiavano il Tenente Bucci, il Caporale Maggiore Scelto Mario Frasca ed il Caporale Maggiore Massimo di Legge, si ribaltò. Per i tre uomini non ci fu nulla da fare; beffa più grande del destino, Bucci sarebbe dovuto rientrare in Italia di lì a un mese.
Le salme dei tre militari vennero trasferite all’Aeroporto di Roma il 25 settembre e da qui, sempre su un C-130 dell’Aeronautica Militare, il corpo del Tenente venne trasferito a Venezia. I funerali si tennero il 26 settembre nella chiesetta di Sant’Ambrogio a Sambruson di Dolo, rivelatasi troppo piccola per l’afflusso di persone che vollero partecipare alle onoranze. Oggi Riccardo Bucci, elevato al grado di Capitano, riposa nel cimitero comunale di Dolo.
Alla memoria del Capitano Bucci, il Comune di Dolo ha dedicato un tratto di argine dell’Isola Bassa.
Fonti bibliografiche/sitografiche:
Roberta Nicora 2014: “Lettera a Clelia. C’era una volta Riccardo Bucci, tuo padre“, ed. Grafiche Antiga S.p.A., Crocetta del Montello (TV) 2014;
Vanzan Matteo nacque a Dolo il 1° ottobre 1981 ma risiedette
insieme ai genitori a Camponogara. Ragazzo schietto e vivace, a detta di chi lo conosceva, la sua storia rientra all’interno di quelle che accomunano ancora oggi molti giovani impegnati nelle missioni di pace all’estero. Andrea Angeli, ex portavoce della Protezione Civile, che assistette ai momenti fatali di Matteo, in un’intervista rilasciata per Il Gazzettino del 17 maggio 2014, ebbe modo di dire che “[…] spiccava perché era un ragazzone grande, io lo chiamavo il “gigante col volto da bambino” […]“.
Terminati gli studi presso le scuole medie dei padri “Rogazionisti” (zona Arcella, PD), decise di iniziare a lavorare, entrando poi a far parte del copro dei Vigili del Fuoco. Qui, tra il 2000 ed il 2002, prestò servizio di leva divenuto temporaneo l’ultimo anno. Terminato il servizio, si arruolò come volontario nell’esercito.
Conseguiti i gradi di 1° Caporal Maggiore fuciliere della 1a Compagnia del 1° Reggimento Lagunari “Serenissima” (base di Malcontenta, VE), affrontò una prima missione militare in Iraq nel 2003; si trattava della missione denominata “Operazione antica Babilonia“, avente come scopo l’invio di un contingente militare italiano in funzione di supporto alle truppe della coalizione NATO e della nuova forza d’ordine irakena. La missione durò fino a febbraio 2003, mese in cui il reparto di Vanzan fece rientro in Italia.
Agli inizi di maggio 2004, concluso il periodo minimo di riposo tra una missione e l’altra, fece ritorno in Iraq, a Nasiriya, sede della forza di pace italiana. Nassiriya, sede della base italiana “Libeccio“, era già stata al centro degli scontri e dell’attentato kamikaze del 12 novembre 2003, che vide la morte di 19 italiani tra militari e civili.
Il 17 maggio 2004, la situazione nei pressi del settore italiano divenne improvvisamente turbolenta. Con la base “Libeccio” sotto attacco, il 1° Rgt. Lagunari di Vanzan venne schierato a ridosso del ponte stradale affinché potesse proteggere e supportare l’azione di difesa e contrattacco italiana, lungo un percorso pericolosissimo ma di vitale importanza per la base. Sotto una pioggia di colpi da mortaio, granate e proiettili vaganti, i militari opposero strenua resistenza.
Un colpo di mortaio, tuttavia, centrò la postazione in cui si trovava Matteo Vanzan ed altri suoi commilitoni. Vi furono diversi feriti, Matteo era il più grave con una ferita all’arteria femorale. L’azione offensiva delle milizie sciite di Muqtada al-Sadr ostacolò però il sopraggiungere dei soccorsi ma, nonostante questo, con grave rischio delle proprie vite, i soccorritori riuscirono a raggiungere i feriti e a trasportarli presso l’ospedale militare italiano da campo dell’aeroporto di Talil.
Matteo venne ricoverato d’urgenza ma, causa il tempo trascorso e la gravità delle ferite, decedette poco dopo all’età di 22 anni. Matteo Vanzan venne riportato in Italia e dopo i funerali in forma solenne ed una prima sepoltura presso il cimitero di Camponogara, riposa oggi nel cimitero di guerra presenta all’interno del ben più grande cimitero cittadino di Mestre.
Il 7 aprile 2006, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la Croce d’Onore alle vittime degli atti di terrorismo o di atti ostili impegnate in operazioni militari e civili all’estero alla memoria, consegnata alla famiglia dal suo successore Giorgio Napolitano, con la seguente motivazione: “Giovane volontario dalle bellissime qualità morali e professionali, comandato in missione in terra irachena, nell’ambito dell’operazione “Antica Babilonia” si prodigava con grande professionalità ed efficacia per l’assolvimento della missione. Il 16 maggio 2004, impegnato nella rischiosa attività di vigilanza presso la base italiana “Libeccio” che, dislocata nella periferia di An Nassiriyah era sottoposta ad attacchi da parte di elementi ostili, veniva investito mortalmente dalle schegge di una granata di mortaio esplosa nei pressi della sua postazione, immolando così la sua giovane vita nell’adempimento del dovere. Con il suo sacrificio ha contribuito in misura rilevante ad accrescere il prestigio dell’Italia e delle sue Forze Armate in ambito internazionale, tenendo alto l’ideale di pace e solidarietà fra i popoli. (An Nassiriyah – Iraq, 17 maggio 2004)“.
Nel 2004-2005 gli venne conferito dalla Regione Veneto il “Premio Speciale per la Pace“.
Il 10 marzo 2010, inoltre, gli venne conferita, sempre alla memoria, la Medaglia d’Oro al Valore dell’Esercito con la seguente motivazione: “Giovane volontario dalle straordinarie qualità morali e professionali, comandato in missione in Iraq, nell’ambito dell’operazione “Antica Babilonia”, impegnato in un’attività di vigilanza presso la base “Libeccio”, a sud di An Nasiriyah (Iraq), veniva sottoposto a reiterati vili attacchi ostili, condotti da milizie armate locali con armi a tiro curvo. Durante uno dei predetti attacchi, mentre si esponeva, incurante del pericolo, nell’intento di individuare le sorgenti di fuoco per la successiva neutralizzazione, veniva investito dalle schegge di un colpo di mortaio esploso all’interno della base e immolava la sua giovane vita. Esempio fulgidissimo di sublime coraggio e di assoluta dedizione, cadendo nell’adempimento del dovere, ha contribuito in modo significativo, con il suo estremo sacrificio, ad accrescere il prestigio dell’Italia e della Forza armata nel contesto internazionale. An Nasiriyah (Iraq), 16 maggio 2004“.
Infine, alla sua memoria, sono oggi intitolate la Base operativa del contingente italiano in Libano nel corso dell'”Operazione Leonte“, la piazza di Camponogara, un giardino pubblico a Padova, un pontile in Comune di Torre di Mosto ed una sala del Consiglio Regionale del Veneto.
Terruzzin Pietro era nato a Vigonovo il 17 agosto 1897 da Valentino e Sanavio Maria; della sua vita da civile si sa poco (il Foglio matricolare deve essere ancora rintracciato) se non che viveva nella casa sita in Via Sarmazza Destra n. 19; contadino di mestiere, sapeva leggere e scrivere. Era fidanzato con Nina.
Alla visita di leva, avvenuta nel 1916, gli venne assegnata la matricola n. 9.939, venendo al contempo inquadrato nel 21° Reggimento Bersaglieri.
La sua storia è stata ricostruita grazie soprattutto al fortunoso salvataggio delle lettere che ricevette la famiglia in tempo di guerra; salvataggio avvenuto all’indomani dell’alluvione del 1966.
Nelle lettere che spediva periodicamente a casa egli faceva riferimento alla possibilità di una prossima partenza, senza però tralasciare il desiderio di rivedere la famiglia, esprimendo nel contempo le difficoltà della vita militare in caserma.
Le notizie sulla partenza si susseguirono per diverse settimane. Pietro, preoccupato, chiedeva spesso ai genitori ed alla sorella di pregare per lui ma non voleva far preoccupare la sua compagna. Giunse intanto il 17 febbraio 1917, ma Pietro non era ancora partito. Ammalatosi in caserma, informò la famiglia sulla sua buona salute, indicando anche il luogo dove si trovava, affinché potessero andare a trovarlo: Ospedale Militare di Riserva di Vicenza – Seminario, 5° Reparto, letto n. 15.
“Sabato 12 – 2 – 1917
Miei Cari Genitori son pronto a farvi sapere le mie notisie. Vi facio sapere che per ora mi trovo amalato nel ospitale Militare di riserva a Vicenza come lo saprete per mezo di monegazo
Voi non pensate a niente per conto di me il mio male e la febre gastrica e male alla gola altro non mi alungo a sabato vi bacio tuta intera famiglia vostro figlio Pietro, la mia direzione: al Soldato Terruzzin Pietro ospitale militare di riserva Siminario 5 reparto – lato N° 15 Vicenza“
Il 20 febbraio del 1917, rimessosi dalla malattia, venne trasferito all’8° Reggimento Bersaglieri, 9a Compagnia, 748a Compagnia Mitraglieri. In tale data egli scrisse nuovamente a casa, chiedendo al padre di poterlo vedere.
I mesi e le settimane si rincorsero, il fronte sembra a tratti vicino e a tratti lontano. Lettere e cartoline si susseguirono nel tempo fino alla lettera del 22 aprile 1917 in cui egli informò casa della prossima possibile partenza per la guerra.
“Brescia il 22 – 4 – 1917
Cara Mamma
Con questa mia ti fo sapere che al spuntar della mia partenza mi ha preso un caleio di un mulo cosi tutto sospeso per farmi portare perche la mama e molto grave puo essere certo la mia fortuna non si sa. Può fino darsi che mi fermo ancora anche a casa un paio di giorni. Ieri giorno mi ricevetti le tue lettere con molto piacere intesi la vostra ottima salute a riguardo del vaglia non ho ancora ricevuto. Non mi alungo di più Col salutarti di vero quore e sono tuo figlio Pietro
Fino a nuovo ordine non scrivermi fallo sapere alla Nina [la fidanzata N.d.A.] sta fuori.
Tranquilla che io mi farò coraggio.
Saluti a tutti“
Terruzzin Pietro partì per l’Isonzo ai primi di maggio 1917. Da quel momento i suoi scritti si ridussero drasticamente, anche per via della difficoltà di reperire carta e penna per scrivere. In data imprecisata, ma sicuramente dopo lo schieramento in linea del reparto, egli scrisse la seguente e toccante lettera alla sua ragazza, poi ricopiata dopo la sua morte:
“Mia adorata Nina
avendo pottuto di avere un di carta e busta, ecco che ti scrivo qualche cosa sulla mia vita, che so che desideri di sapere.
Nina cara, io lo sai che mi trovo in trincea da più giorni, e sono salvo perché Iddio lo ha voluto. Nina mia, io sono stato ferito leggermente ma se mi prendeva giusto addio Piero, ma non hanno fatto tempo. Cara Nina ti prego, mi rivolgo a te, ti prego di pregare Iddio per me, dimi qualche preghiera per me al Santo di Padova, che la mia divossione e grande, Nina ti scrivo questa lettera, ma non ho boli, perdonami se ti toccherà pagare, ma spero che la riceverai volentieri lostesso. Questa lettera tienila per memoria che l’ho scrita in trincea Nina mia non gredevo che in trincea si avesse da fare tante tribolasione..!..quanta sete quanto sono….le noti che passo qui alla veglia è la mia mente corre subito a te, e dico fra me: guarda io qui e la Nina serò là nel suo letto pacifica e beata! se sapesse dove sono io certo non dormirebbe Nina per dirti tutto devo parlarti bocalmente. Se avrò la fortuna, la mano non mi regge più […].
Io termino ti saluto baciandoti di cuore e mi firmo di essere il aff.mo Piero che tanto ti ama, ciao Prego Iddio per me adio, Iddio ti benedica.“
Si giunge così alla X battaglia dell’Isonzo. Non sappiamo se Pietro riuscì a ritornare a casa un’ultima volta. Considerate le vicende di moltissimi altri soldati è però probabile che egli non ci riuscì. Nel corso della battaglia, esauriti i portafariti, anche lui ricevette l’incarico di recuperare e soccorrere i bisognosi, adoperandosi ovunque nonostante l’intenso fuoco nemico. Fu a quota 652 del Monte Vodice che, il 24 maggio 1917 (secondo anniversario di guerra), all’età di soli 19 anni, venne raggiunto da una scheggia di granata che lo colpì al capo uccidendolo sul colpo. Ai primi giorni di luglio la famiglia ricevette la seguente lettera datata “Zona guerra 30 – 6 – 1917“,
“Preg.mo Sig,re Terruzzin,
è con dolore vivissimo che faccio seguito alla triste notizia che già le sarà giunta ufficialmente.
Io che ho avuto l’occasione di apprezzare la bontà d’animo, la calura, il coraggio del povero Pietro, posso accertarle che cadde da eroe, di fronte al barbaro nemico, durante la vittoriosa giornata del 24 maggio alla quota 692 (Vodice). Cadde colpito da scheggia di granata austriaca, poco distante da me, subito dopo che aveva medicato un compagno ferito. Noncurante del pericolo, correva sempre qua e là, dove più infuriava il combattimento, per prestare la propria opera di portaferiti; avendo sempre per tutti parole di conforto.
Povero Pietro! Tutti ti volevamo bene, specialmente io, che ti avevo spesso accanto, sulla linea del fuoco, io che ti ero superiore, ma ti amavo come un fratello! La Patria può vantarsi di simili eroi: io l’ho già proposto al reggimento per la medaglia al valor militare.
Addolorato ma orgoglioso, le invio i miei saluti cordiali
Aspirante ufficiale Francesco Bernardi
Comand.te Interinale 748a Comp. Mitragl.a 21° Regg. Bersagl.
Zona di Guerra.“
La richiesta del Sottotenente Bernardi andò a buon fine e Pietro venne premiato (postumo) con la la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “TERUZZIN Pietro, da Vigonovo (Venezia), soldato compagnia mitragliatrici Fiat, n. 9939 matricola – Unico portaferiti rimasto alla compagnia, noncurante di sè, si esponeva con mirabile ardimento, sotto il violento fuoco nemico, per soccorrere, sul campo durante l’azione, i feriti, anche d’altri reparti, finché cadde egli stesso colpito a morte. – Monte Vodice, 24 maggio 1917.“
La famiglia cercò in seguito informazioni sulla sepoltura del proprio caro. Una lettera spedita da Zagomilla il 6 agosto 1917 dal Bernardi riportava la notizia che “ebbe onorata sepoltura presso Zagora, nel cimitero di guerra lungo l’Isonzo nella sponda redenta.” Questa informazione venne in seguito utilizzata dalla madre tra il 1920 ed il 1922 quando partì da Vigonovo per il vecchio fronte alla ricerca della tomba del figlio – una fossa comune in cui Pietro venne sepolto assieme ad altri due compagni – e per vedere i luoghi in cui egli cadde. Non si tratta di un caso isolato: molte madri e padri intrapresero spesso viaggi simili per cercare di capire e trovare pace.
Sappiamo, infine, che il cimitero in cui venne inizialmente sepolto Pietro venne smantellato nel dopoguerra; egli venne trasferito – come ignoto – nel cimitero di guerra di Plava dedicato al Generale Prelli ed in seguito tumulato nel Sacrario militare italiano di Oslavia.
Fonti bibliografiche:
Documentazione storica (lettere e cartoline) famiglia Terruzzin;
Albo d’Oro dei caduti d’Italia;
Atto di morte (Archivio Ufficio Anagrafe del Comune di Vigonovo);
sito internet: www.istitutonastroazzurro.org
Ritornando a parlare dei soldati che abbiamo ricordato durante la cerimonia di consegna dei Gagliardetti della Memoria, parliamo ora della storia di Ferruccio Boschetti. Prima di farlo, pubblichiamo il ricordo che Fernanda Giantin, nipote del Tenente, ci ha rilasciato.
LA MEMORIA VA COLTIVATA COME IL CONTADINO COLTIVA LA TERRA
Ferruccio era il fratello più giovane della mia nonna paterna Lavinia, figura fondamentale per la mia educazione fin dall’infanzia. La memoria per lei era un culto perché dà identità e appartenenza. Come fa un paese, una famiglia a dimenticare la sua storia, a non sapere chi siamo e di quali esempi ci nutriamo? La memoria va coltivata con amore come il contadino coltiva la terra, la rivolta, la concima; darà i frutti alle nuove generazioni. Alla mia nascita Ferruccio non c’era più da vent’anni. C’era la sua immagine e nel tempo il ricordo continuo di lui, delle sue virtù civili e militari, è entrato nella mia mente e nel mio cuore. Sapeva esprimere con facilità il suo affetto verso la famiglia. Lavinia mi leggeva i pensieri con cui accompagnava le foto che inviava dal fronte; manifestavano grande sensibilità, serenità e senso del dovere. Ma per il Centenario della Grande Guerra, il suo non sarà solo un nome sconosciuto scolpito sulla lapide dei Caduti di Arino ma una storia viva raccontata con passione ed impegno dai ragazzi dell’Associazione Riviera al Fronte. Si compie quanto la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano promesso a Ferruccio sul memoriale del trigesimo: “Resterai tu obliato nel dì che verranno? Non pensarlo!”. Ma mai avrebbero immaginato che dopo un secolo la sua vita e il suo sacrificio fossero raccontati alla gente della Riviera del Brenta, a chi frequenta Internet e che in suo onore fosse consegnato alla nipote il Gagliardetto della Memoria. Le nonne e la nipote ringraziano.
Fernanda Giantin
Vigonovo, 7 agosto 2015
Ringraziamo quindi Fernanda che, grazie alla sua passione per la Storia e l’amore nei confronti dei suoi parenti che andarono al fronte, ha conservato del materiale importante, composto di foto e manoscritti, prestatoci per raccontare la vita del tenente Ferruccio Boschetti, matricola 1308 e poi 20982, figlio di Giovanni Battista e di Augusta Fabris, Medaglia d’Argento al Valor Militare durante la Grande Guerra e reduce della campagna di Libia, disperso durante la battaglia di Monastir del 1916.
Il registro di leva contenuto nell’Archivio Comunale di Dolo indica che Boschetti era nato ad Arzergrande, Padova, il 29 aprile 1878. La famiglia era originaria della Liguria e una volta adulto Ferruccio tornò a Molassana, Genova, dove trovò lavoro come impiegato e creò una famiglia, allevando due figli; la madre Augusta e la sorella Lavinia restarono invece nel Veneziano, la prima ad insegnare alla scuola elementare di Arino, la seconda a Vigonovo. Boschetti aveva combattuto in Libia nel 1911-12, ottenendo i primi gradi e venendo promosso fino ad essere sottotenente.
Con l’inizio della guerra contro l’Austria-Ungheria Boschetti fu richiamato e assegnato a vari battaglioni della Milizia Territoriale per via dell’età. Non partì da solo: con lui c’era l’inseparabile macchina fotografica, utilizzata nei momenti di tregua. Le foto originali, datate e segnate con il luogo dove furono scattate, sono arrivate ai giorni nostri e Fernanda ci ha permesso di pubblicarne qualcuna.
Boschetti passò la prima parte del conflitto sull’altopiano di Folgaria, sul Sommo Alto, per lavorare alla fortificazione e al presidio dell’area. All’inizio del 1916, invece, giunse in Trentino anche la Brigata Cagliari, alla quale il battaglione di Boschetti fu aggregato fino alla campagna di Macedonia. La Cagliari fu chiamata a presidiare il settore di Tonezza a febbraio, tra i monti Maronia, Coston e Soglio d’Aspio, e fino all’inizio della Strafexpedition il fronte fu posto in sicurezza senza grossi problemi. Il più grande nemico in quell’inverno infernale erano il gelo e le valanghe: una foto scattata nel marzo 1916 (a fianco) mostra gli effetti della grande nevicata che aveva investito il monte Novegno. Incredibilmente, le baracche di entrambi gli schieramenti furono adombrati da mura di neve alte fino a 5 metri.
Il 15 maggio gli austroungarici balzarono all’assalto alla prima linea italiana sull’Altopiano di Asiago. In seguito al bombardamento dell’artiglieria, la fanteria imperiale dilagò in Costa d’Agra, aggirando le forze italiane. Il terzo battaglione del 64°, a difesa del Tre Sassi, fu accerchiato e catturato, non senza lottare, mentre il primo battaglione riuscì ad evitare la stessa sorte sul Soglio d’Aspio, riuscendo a raggiungere con i superstiti Coston d’Arsiero. Questo luogo diventava la linea di non ritorno e consapevoli di questo la Cagliari impose le proprie armi su quelle nemiche, rallentando così la corsa austroungarica alla pianura.
Mentre la Cagliari veniva riorganizzata in seconda linea a Chiuppano, gli asburgici avanzarono mettendo sotto assedio il Novegno, in particolare i monti Spin e Brazome. Fu proprio su quelle posizioni che la Brigata di Boschetti fu schierata per la difesa dell’estremo baluardo d’Italia. Se nei giorni precedenti l’azione offensiva aveva disgregato la retroguardia e provocato gravi danni, nella seconda parte della Strafexpedition i difensori italiani riuscirono a resistere con audacia. La battaglia del Novegno proseguì fino alla metà di giugno, fino a quando l’Alto Comando austroungarico ordinò la fine delle operazioni e il ripiegamento su delle posizioni più difendibili. Tra le giornate più dure da ricordare c’è quella del 12 giugno, quando all’alba l’artiglieria imperiale iniziò a tirare contro gli italiani sui monti Giove, Novegno e Passo Campedello. Dopo alcune ore di fuoco martellante, il 3° e il 4° Kaiserjaeger balzarono fuori dalle trincee per impossessarsi di quelle avversarie. In due giorni, asburgici e italiani lottarono in furiosi corpo a corpo che aveva come risultato la vittoria di quest’ultimi. Il 14 giugno gli aggressori diedero sfogo alle ultime forze, l’ultimo tentativo per sfondare e conquistare così Schio e la Pianura Padana. La fanteria italiana, rimasta senza rinforzi e allo stremo delle forze, riuscì a resistere ancora una volta per altri due giorni. Boschetti osservava lo svolgimento della lotta dall’osservatorio del Rivon, da dove le batterie colpivano le truppe imperiali allo scoperto. L’Italia aveva vinto e la Cagliari era stata lanciata all’inseguimento dei fuggiaschi. Prima di abbandonare l’Altopiano dei Sette Comuni, le truppe occupavano Pria Forà, monte Brazome, monte Aralta e Roccolo dei Sogli, controllando le cime fino al 26 luglio, quando i fanti furono ritirata per rifiatare a Schio, in attesa di partire per la Macedonia.
Il Novegno era stato completamente devastato e bucherellato dall’artiglieria asburgica. Gli ordigni inesplosi restavano là, in attesa di essere disinnescati e spostati. La foto a fianco mostra il sottotenente Boschetti su uno dei proiettili in questione.
Negli stessi giorni inviava a casa altre fotografie, una che ritraeva i suoi coraggiosi commilitoni. Dietro ad una di queste aveva scritto:
«Ragazzi generosi, umili, figli di contadini, coraggiosi e forti che hanno sopportato la fatica, il freddo, la fame, il sonno e le sofferenze di ogni genere».
Dopo le fatiche della battaglia di Asiago, la Cagliari era destinata al fronte macedone. Prima di partire, però, a Ferruccio era stato concessa una settimana di licenza per rivedere i propri cari. Il periodo però non era abbastanza: dopo esser stato per cinque giorni in quarantena al distretto sanitario, in pochissimi giorni riuscì a salutare, per l’ultima volta, l’adorata moglie e i figli a Molassana e la madre e la sorella in Riviera del Brenta.
L’8 agosto iniziarono le attività di imbarco a Taranto per il fronte balcanico. Il trasporto della Trentacinquesima divisione e del resto del corpo di spedizione italiano nei Balcani durò quasi una settimana, con l’Adriatico infestato dagli U-Boot. Boschetti e il suo contingente arrivò salvo sull’altra sponda e in una lettera descrisse Salonicco, la città portuale dove sbarcò:
«E’ una città meticcia. Convivono Cristiani, Mussulmani ed Ebrei divisi in distretti come villaggi all’interno di una città e riconoscibili solo dal differente colore dei turbanti: bianchi per i seguaci dell’Islam, gialli per gli ebrei e blu per i cristiani. È convivenza che dura da cinquecento anni! Il panorama si presenta con alti minareti, cipressi, cupole e le eleganti residenze ottomane.
Sopravvivono i resti dell’Arco trionfale del tetrarca Galerio (fine del III – inizio del IV secolo) – 1915 l’archimandrita di Salonicco, massima autorità religiosa cittadina della Chiesa greco-ortodossa, è ospitato a bordo di una nave da guerra britannica per protezione.
Belli i nostri giovani soldati e ben vestiti; sono stati molto festeggiati ed ammirati quando sfilarono per le vie di Salonicco».
Le truppe della Cagliari dovevano combattere su un terreno molto difficile, non molto diverso da quello dell’altopiano di Asiago, anche se molto più secco e paludoso. Inoltre, si manifestavano le malattie che avevano colpito le truppe italiane in Albania, con diverse vittime: molti si ammalarono e allora il comando corse ai ripari consegnando ai soldati il chinino.
Il 27 agosto la truppa occupava il settore Akeeklise – Sarigol e ai primi di settembre controllava il settore di Krusa Balcan, fra il lago Dorjan e il forte di Dova Tepi, dove era chiamata a realizzare lavori difensivi. Il 19 ottobre i combattimenti entrarono nel vivo quando le truppe alleate decisero di sfondare a Monastir, con il comando delle operazioni guidato dai francesi. Passata la prima parte dell’autunno, la guerra sul fronte balcanico iniziava a prendere una strada ben definita: le truppe italiane sostituirono la Diciassettesima divisione francese sull’altopiano di Monastir, a 2000 metri di altezza, dove la neve era già abbastanza alta e si viveva in condizioni disperate, a dieci gradi sotto zero. Il 15 novembre iniziava il movimento e la Cagliari occupava il dente di Velusina e il colle di Ostrec. La battaglia entrava nel vivo il 17 novembre, quando l’artiglieria tedesca e bulgara martellarono la prima linea alleata. Era un tentativo estremo, ma inutile, di bloccare l’offensiva dell’Intesa, compiuta il 19 novembre con la conquista di Monastir. La Cagliari fu insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare e della Croce Francese con Palma.
Tra i primi caduti di quell’offensiva c’era anche il sottotenente Boschetti, colpito in pieno da una bomba. Il suo attaccamento ai suoi sottoposti e il coraggio fu sottolineato nella motivazione per cui gli fu concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare:
«Costante esempio di valore, durante un forte bombardamento nemico mantenne alto il morale dei propri dipendenti e mostrando animo invitto e sprezzante del pericolo, sulla prima linea sdegnava qualsiasi riparo, finché cadde sul posto colpito al petto da una scheggia di granata». (monte Velusina – Macedonia – 17 novembre 1916).
A distanza di poco più di una settimana, a Morassana e ad Arino giunse la notizia della scomparsa del povero Ferruccio. Il tenente colonnello comandante la 35° Divisione, M.L. Cravosio, scrisse alla moglie una lettera toccante, datata 27 novembre 1916:
«Con sommo dolore, comunico alla S.V. che suo marito sottotenente Boschetti Ferruccio, il 17 corr. cadeva gloriosamente colpito da granata nemica.
Conoscendo le preclari virtù dell’eroico Sottotenente, è stato promosso ufficiale per merito di guerra.
Assicuro la S.V. che farò tutto il possibile perché l’eroismo di suo marito non venga dimenticato affinché una meritata ricompensa possa lenire il dolore di tutta la famiglia.
Nel compiere il doloroso dovere, le porgo le mie condoglianze e quelle degli ufficiali tutti del reggimento e le assicuro che ciò che apparteneva al compianto suo marito le sarà rimesso a cura del deposito di questo reggimento.
Il Ten. Colonnello
Comandante Int. del Reggimento
M.L. Cravosio»
Dopo la scomparsa di Ferruccio, la madre e la sorella vissero con il dolore di non poter più vedere il loro amato congiunto e di non poter piangere sulla sua tomba; ma restava incancellabile e tramandato di generazione in generazione il ricordo e l’orgoglio di aver dato un figlio al servizio alla Patria, distintosi per l’onore e il coraggio. A pochi giorni di distanza dalla triste comunicazione, la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano dedicato un memoriale.
Il nome del tenente Boschetti è stato ricordato in testa al monumento dei caduti di Arino. Al momento della scomparsa aveva 38 anni.
Fonti:
Ricordi famigliari appartenenti alla famiglia Giantin;
Diario della Brigata Cagliari
Per la Medaglia al Valore: Istituto del Nastro Azzurro