Il lato oscuro dello sbarco sulla Luna. Wernher von Braun, Peenemunde, Mittelbau-Dora

20 luglio 1969: il sogno dell’intera umanità di mettere il primo piede sulla Luna diventa realtà. Un’impresa straordinaria che oltre a decretare “un grande passo per l’umanità” segna un punto a favore degli Stati Uniti nel confronto della corsa allo spazio con l’Unione Sovietica.
Una lotta partita da lontano e che inizia in Germania perché l’autore di questo successo nasce proprio nel cuore dell’Europa: Wernher con Braun. Figura intelligente ma allo stesso tempo accusato di essere un criminale di guerra.

WERNHER VON BRAUN: I NATALI

Von Braun nasce in una famiglia aristocratica nel 1913 in una città che oggi appartiene alla Polonia ma che prima della guerra mondiale era tedesca. Nel 1919 parte del territorio del Reich passa in mano alla nuova nazione polacca e migliaia di tedeschi emigrano verso ovest. Tra questi anche i von Braun, trasferitisi a Berlino. Il giovane Wernher viene inviato a studiare nelle migliori scuole e università della nuova Germania. Dopo esser stato a Weimar, la capitale della Repubblica postbellica, ritorna a Berlino per frequentare l’università. Sin da bambino von Braun si appassiona molto alle teorie che avrebbero portato qualche anno più tardi alla conquista dello spazio e, quindi, allo sviluppo di tecnologie per raggiungerlo. Diventa da subito uno dei principali studiosi sui razzi, tanto che riesce egli stesso a produrne qualche esemplare.

PEENEMUNDE E VON BRAUN NAZISTA

La scienza si incrocia con la politica e in questo caso con la grande storia: la debole repubblica di Weimar crolla quando il passo al Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler prende il potere nel 1933 assumendo, dopo la morte del Presidente della Repubblica von Hindenburg, pieni poteri assoluti. Il piano del nuovo governo è quello di riarmare la Germania stracciando i vincoli militari imposti dal Trattato di Versailles del 1919. Ma un capitolo era stato escluso dal trattato, quello legato allo sviluppo di razzi a uso militare. E quindi è ovvia l’attenzione rivolta dal nuovo Reich verso questo campo di ricerca. Von Braun diventa uno degli scienziati di spicco.
La voglia del Führer di sviluppare questa scienza arriva con costruzione della base di Peenemunde, porto sul Baltico ma cittadina tranquilla e ideale per svolgere al meglio le ricerche. In questa base i nazisti produrranno gli strumenti di propulsione per aerei da caccia e a reazione della Luftwaffe.
Von Braun era famoso, un barone; ma il partito nazista gli suggerisce di fare un passo in più perché una delle menti più acute del Reich non poteva permettersi di non essere iscritto al partito nazista. Nel 1937 quindi viene “invitato” a iscriversi; e nel 1940, a guerra appena cominciata, diventa ufficiale delle SS, arrivando a ricoprire addirittura il grado di Maggiore nel 1943.
Le ricerche condotte dal barone von Braun e dal suo staff arrivano gradualmente a concludersi e l’acuto finale è il lancio dei famosi missili V2, fatti volare nel cielo di Londra e, di conseguenza, esplodere sulla città, all’inizio del settembre 1944. Inizia una nuova fase di terrore per gli inglesi, che si vedono piovere improvvisamente dei missili capaci di provocare gravi distruzioni. Il Führer pensa di avere in mano un’arma capace di capovolgere il destino della guerra, ma il V2 è ancora un progetto con diverse lacune tanto che molti esploderanno in cielo prima di arrivare all’obiettivo o avranno problemi ancora prima del lancio.
Per von Braun si tratta comunque di una vittoria importante, ma non riuscirà ad assaporarla appieno: il suo sogno era quello di portare l’uomo nello spazio, a mettere il piede sulla Luna e, perché no, anche su Marte. Una visione che non piaceva al nazismo, più concentrata a vincere la guerra ormai perduta. Nel marzo del 1944 von Braun viene arrestato dalla Gestapo per cimini contro lo stato con l’accusa di distrarre le sue conoscenze militari per la fantasiosa conquista dello spazio. Albert Speer e il direttore di Peenemunde, Walter Dornberger, riescono a ottenerne la scarcerazione per via del suo importante contributo in favore della macchina bellica.

IL MASSACRO DEL CAMPO DI MITTELBAU-DORA

Il lato più brutale, orribile, nella rincorsa alla costruzione dei missili a reazione e che macchierà indelebilmente la vita di von Braun sta nello sfruttamento dei prigionieri, in particolare dell’Europa Orientale, rinchiusi nel campo di concentramento di Mittelbau-Dora, in Turingia. Qui i prigionieri, alcuni dei quali provenienti da Buchenwald, erano costretti a lavorare forzatamente e in condizioni disumane come schiavi. Prima per costruire nel cuore della montagna dell’Harz i tunnel per la produzione dei missili e poi, la produzione stessa delle armi. Internet ci consegna diverse testimonianze sulla tragedia di Mittelbau-Dora, ma solo qualche fonte si azzarda a dare una cifra ufficiale sulle vittime. Wikipedia riporta la morte di 12 mila unità, anche se alla fine per varie altre cause si conteranno 20 mila morti, tra questi anche quelli provocati dal bombardamento da parte degli inglesi all’inizio dell’aprile 1945.

https://www.facebook.com/raistoria/videos/mittelbau-dora-lultimo-campo-di-concentramento-costruito-dai-nazististasera-alle/10155280499282565/

https://www.avvenire.it/agora/pagine/dora

Von Braun era stato considerato uno dei responsabili di questa tragedia, uno dei diversi criminali di guerra che sarebbe dovuto finire davanti alla Corte di Norimberga del 1946. Ma la ragion di stato (americana) e l’inizio della Guerra Fredda portava il barone a scampare al processo assieme a tanti altri suoi colleghi. Nella primavera del 1945 Peenemunde sta per essere presa dai russi. Piuttosto che cadere nelle loro mani, assieme ad altri del suo staff decide di percorrere la Germania e farsi arrestare dagli americani, consegnando loro anche i progetti originali.

LA CARRIERA IN AMERICA E LO SBARCO SULLA LUNA

In pochi mesi gli artefici degli studi di Peenemunde vengono trasferiti in America grazie all’operazione segreta Paperclip. La Guerra Fredda era cominciata ufficialmente dal momento in cui i sovietici avevano issato la bandiera con la falce e il martello sul Reichstag e con essa partiva anche la corsa allo spazio. Il vantaggio di Mosca era soprattutto materiale grazie al bottino di guerra fatto in strumenti e di parte dei razzi di proprietà tedesca; gli americani vantavano di avere il principale progettista dei missili ma il tutto doveva essere progettato quasi da zero. Von Braun inizia a lavorare in un clima non facile: non solo ambientale, visto il passato da ex nazista, ma anche per la sfida interna tra il dipartimento dedicato allo sviluppo delle armi balistiche, in cui lavorava lo scienziato tedesco, e la Marina Militare, che stava lavorando a un suo progetto parallelo. Questo “derby” non fa altro che portare i russi ad assumere un vantaggio importante e a lanciare Sputnik I, il primo satellite nello spazio: è il 1957.
Il Presidente Eisenhower non accetta lo smacco: da un lato chiede ai suoi scienziati un’accelerazione sulla produzione del satellite, dando allo scienziato tedesco e alla sua agenzia l’ordine di proseguire come principale punto di riferimento in materia – e l’ordine viene esaudito con la spedizione nello spazio di Explorer I nel gennaio 1958 – e dall’altro porta a fondare la NASA, di cui von Braun sarà il primo direttore nel 1960. Quello che avviene dopo – la ricerca e la progettazione di navicelle spaziali capaci di trasportare uomini nello spazio dando loro la possibilità di mettere piede sulla Luna – è storia ricordata da tutti in questi giorni legati alle celebrazioni dei cinquant’anni dall’allunaggio.

Articolo scritto per la Marcia dei Storti 2019

Nell’edizione 2018 della Marcia dei Storti avevamo raccontato i momenti più drammatici vissuti dalla Riviera del Brenta tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Quest’anno facciamo luce sui protagonisti e sulle esperienze più importanti avvenute tra il 1943 e il 1945.

LUIGI LEVORATO, GIOVANNI MION E ROMEO ISEPETTO

luigi levorato
Luigi Levorato

Luigi Levorato, Giovanni Mion, Mario Badin e Romeo Isepetto sono tra i protagonisti più importanti della guerra di liberazione. Luigi Gigetto Levorato, classe 1897, reduce della Grande Guerra, socialista, era stato protagonista del Biennio Rosso. Nel 1922, anno della presa del potere di Mussolini, scappa con la famiglia a Modena e diventa uno dei leader del Partito Comunista clandestino; arrestato alla fine del 1926, è confinato sull’isola di Ustica perché ritenuto complice indiretto di un complotto contro il Duce. Rilasciato nel 1932 e debilitato fisicamente, torna a Dolo nel 1940. Dopo l’8 settembre 1943 è uno dei leader della resistenza locale e aiuta ex prigionieri di guerra alleati alla fuga. Nell’estate 1944 “Gigetto” è arrestato: deportato a Linz, in un campo satellite di Mauthausen, lavora per ricostruire le infrastrutture militari distrutte. Levorato sopravvive: tornato a casa, diventa segretario del Partito Comunista locale e assessore ai Lavori Pubblici, ma rifiuta la candidatura a sindaco per le elezioni del 1951. Muore nell’aprile 1958 e ai suoi funerali partecipano i massimi esponenti del PCI nazionale.

Giovanni Mion
Giovanni Mion

Mentre Levorato è prigioniero, Giovanni Mion, Mario Badin e altri partigiani ragionano sul futuro postbellico. Mion, dolese classe 1916, dopo l’8 settembre 1943 diventa il punto di riferimento della resistenza locale, intrattenendo rapporti con gli alleati e collaborando per metterne diversi in salvo. Ma viene tradito da uno di questi: un soldato sudafricano, nascosto a Pianiga, si ubriaca ed entra in contatto con i giovani fascisti locali: interrogato, il boero lo denuncia. Mion si rifugia a Vigonza per scappare alle Brigate Nere ma si consegna subito per evitare la distruzione della casa. All’inizio del 1945 viene incarcerato a Dolo assieme ad altri amici, tra questi Mario Badin: è proprio quest’ultimo a convincere Mion e gli altri carcerati a terminare la spirale d’odio ed evitare qualsiasi spargimento di sangue. Loro sono di un altro stampo e il compito principale era ricostruire presto il paese. Giovanni viene liberato in aprile, giusto in tempo per partecipare allo sminamento dei ponti e agli ultimi scontri – alcuni avvenuti lungo il percorso della Marcia – che portano alla Liberazione del 29 aprile.

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Romeo Isepetto

Romeo Isepetto è l’organizzatore della prima operazione partigiana e che avviene a Mira il 9 settembre 1943. In questa data Isepetto, assieme ad alcuni volontari, occupa il municipio mirese. I Carabinieri intervengono subito. Isepetto e Barzoni vengono arrestati e condotti alle carceri di Dolo. Per evitare una rivolta popolare, dopo pochi giorni sono trasferiti a Venezia. Nell’estate 1944 Isepetto viene internato a Mauthausen. Sopravvissuto alla prigionia e rimpatriato nel giugno 1945, fonda la Guardia Civica per arginare i disordini e diventa una figura fondamentale per i compagni del PCI. Inoltre continua la sua attività di pescatore nella laguna tra Mira e Campagna Lupia, aiutando le famiglie povere e colpite dai lutti della guerra con la pesca di frodo. Isepetto muore il 17 agosto 1947 a causa di una esplosione mentre si trova in barena. Dopo i funerali la sua storia cade nell’oblio, fino a quando Vittorio Pampagnin e altri storici locali studiano la sua vita e depongono una stele commemorativa a Giare di Mira nell’aprile 2015.

ALCUNI EVENTI TRA IL CENTRO DI DOLO E LA SERIOLA

La “Beffa del Dolo” è l’evento più sorprendente e incredibile messo a segno dalla resistenza locale. Viene compiuta da 44 uomini della Brigata Negri, provenienti da Santa Maria di Sala, Campolongo Maggiore e Sant’Angelo di Piove di Sacco. L’operazione, organizzata dal parroco di Caltana don Antonio Pegoraro e condotta da Antonio Ranzato, avviene nella notte del 26 maggio 1944: la Brigata assalta le sedi militari e politiche della RSI nel cuore di Dolo. In due ore vengono accerchiate le caserme dei Paracadutisti (una costruzione che oggi non esiste più e che era localizzata a fianco dell’attuale municipio) e dei Bersaglieri (vicina al Cinema Italia). Il colpo più importante viene compiuto ai danni di questi ultimi, quando pochi uomini ne mettono in scacco 180. Il tutto avviene senza sparare un colpo ed ecco perché si parla di beffa. Il bottino è di 150 fucili, sei mitra Beretta, due macchine da scrivere e una radio, materiale trasportato nel cimitero di Caltana e qui nascosto.

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Il cippo dedicato a Aldo Cacciola, pilota da caccia dell’Aeronautica Repubblicana, posto lungo la Seriola a Dolo

Lungo la Seriola la resistenza dolese compie sabotaggi alle linee telefoniche ma nell’estate 1944 tali attività sono sospese per via di un incidente avvenuto il 6 luglio al Sottotenente dell’Aeronautica della RSI, Pietro Aldo Cacciola, appartenente al 1° Gruppo Caccia dell’aviazione nazionale Repubblicana con base a Vicenza. Dalla città berica Cacciola, messinese, classe 1923, si alza in volo con il suo FIAT G.55 Centauro per un addestramento. Un guasto meccanico fa precipitare il velivolo e il giovane muore sul colpo.

Autori:
Ivan Bruno Zabeo (Riviera al Fronte); Vittorio Pampagnin; Corrado Mion (Anpi Dolo), Roberto Cimarosti. Per la foto del cippo si ringrazia Antonio Vittorio Giacomini.

Articolo scritto per la Marcia dei Storti 2018

La Riviera del Brenta, terra di bellissime e sfarzose ville, visitata da poeti e letterati, ha subito anch’essa i tragici eventi dei due conflitti mondiali. Il percorso della 34^ Marcia degli Storti attraversa luoghi che hanno visto il passaggio di soldati, di invasori, di resistenti. La Riviera del Brenta e i suoi cittadini avevano subito dolorose sofferenze a causa di quei drammatici eventi e alcuni luoghi lungo il percorso sono stati teatri di eventi che hanno contribuito alla rinascita del nostro Paese.

Il percorso comincia dall’Isola Bassa: l’area, che durante il Ventennio aveva subito diversi lavori con l’interramento del canale che la divideva in due, è collegata al resto del territorio da ponti che, nel corso dell’ultima guerra erano stati minati e, verso la fine del conflitto, colpiti dagli aerei alleati per rallentare le comunicazioni delle forze nazifasciste. Una delle ville principali dell’isola, Villa Andreuzzi-Bon, era un magazzino di armi e tra il novembre 1943 e la Liberazione dell’aprile 1945 i partigiani riuscirono a disarmare in diverse occasioni le varie sentinelle fasciste in servizio. La casa di riposo, inoltre, diede ospitalità ad alcuni prigionieri inglesi scappati dal campo di prigionia di Giare di Mira.

Dopo aver attraversato il Ponte del Vaso, che tra il 1943 e il 1945 era stato minato e reso obiettivo degli inglesi (nei raid erano state battute anche le aree limitrofe, con il danneggiamento di Villa Pra), si entra in via Seriola dove, tra la primavera 1944 e la fine del conflitto, i partigiani avevano intensificato le attività di sabotaggio delle vie di collegamento telefonico e telegrafico tra i comandi stanziati tra la Riviera del Brenta e la linea Gotica.

Parallelamente a via Seriola corre via Argine Sinistro, arteria principale utilizzata dai tedeschi per fuggire da Sambruson e dalla Linea Gotica. Il 24 aprile 1945, lungo questa strada i partigiani dolesi sequestrarono un camion con fusti di benzina che poi, a fine conflitto, furono distribuiti tra i comitati di Liberazione Nazionale di Dolo e Padova. Il 27 aprile 1945 fu ucciso davanti a casa il partigiano Amedeo Ferraresso, che dopo l’8 settembre 1943 raggiunse l’Alto Vicentino per combattere i tedeschi. A guerra praticamente finita decise di rientrare a casa. Giunto alla meta, ebbe la sfortuna di incappare in una colonna tedesca. Individuato con il fucile in spalla, ritenutolo una minaccia, fu freddato sul posto.

Dopo aver percorso il primo tratto di via Seriola si arriva all’incrocio con via Badoera. Si prosegue dritti, ma se si svoltasse a destra e si arrivasse alla fine della via raggiungendo il semaforo, si giungerebbe a Villa Maria, dove nell’aprile 1945 fu danneggiato un automezzo. A Sambruson, inoltre, un presidio militare tedesco fu assaltato due volte, tra il 12 maggio e il 28 giugno 1944, dalle forze partigiane dolesi. In entrambi i casi fu ingaggiato uno scontro a fuoco durato un paio d’ore e terminato in entrambi i casi con l’arrivo dei Bersaglieri della RSI accompagnati da un carro armato.

pescheria2Altre operazioni di sabotaggio furono condotte all’altezza del Ponte di via Carrezzioi tra Dolo e Mira e al di là del Naviglio. Proseguendo per via Seriola e arrivando a Mira, si arriva alla Pescheria. È qui che avviene una delle due battaglie tra i partigiani miresi e le forze nazi-fasciste: il 29 aprile, poche ore prima dell’arrivo degli alleati, alcuni partigiani della Brigata Negri impegnarono le forze tedesche in ritirata sull’altra sponda a colpi di mitragliatrice e colpi di moschetto. Durante lo scontro uno dei resistenti riuscì nell’impresa di issare coraggiosamente il Tricolore sul pennone della pescheria.

vilal lanza miraEffettuando il percorso più lungo della Marcia degli Storti, si passerà anche per i vecchi stabilimenti della Mira Lanza e davanti all’omonima villa. Gli stabilimenti della vecchia fabbrica di candele, così come Villa Colloredo/dei Leoni, erano stati utilizzati anche nel corso della Grande Guerra per ospitare centinaia di feriti e malati provenienti dal fronte. Gli stabili ospitarono l’ospedale di tappa 237 che arrivò a contare 840 letti e una sala operatoria, oltre a un teatro e sale per le attività ricreative. Vent’anni più tardi, invece, villa Lanza fu requisita dalle SS per crearvi il loro quartier generale, abbandonato il 25 aprile 1945. Il ponte davanti alla villa era stato minato.

Proseguendo per Mira Porte si segnala l’occupazione di Villa Principe Pio, in via don Minzoni. Poco distante, nella zona di Valmarana, la Brigata Cremona, che combatteva sotto il Tricolore dell’Italia cobelligerante degli alleati, e i carri armati inglesi attaccarono le ultime forze della Wermacht in ripiegamento verso via Nazionale, causando diverse vittime.

Proseguendo verso Dolo si segue la “Strada Bassa”, ma al di là della riva le ville Venier e Bonlini, oggi Casa Paterna, erano state requisite delle forze dell’Asse. Ma ritorniamo nel territorio di Dolo per parlare di un fatto atroce e anche questo rimasto nel dimenticatoio: il 20 febbraio 1945 un aereo alleato, dopo averlo mitragliato, colpì con una bomba un tram al Casello 12, davanti a Villa Ducale, all’epoca Villa Ciceri, sede di un comando. Il tram, carico di soldati tedeschi ma anche di civili, saltò in aria: morirono moltissime persone; don P. Gios in I parroci della Riviera del Brenta e della Bassa Saccisica nella Resistenza riporta la relazione di don Fares che cita 72 vittime, per la maggior parte soldati ma con un alto numero di civili, alcuni dei quali dolesi. A seguito di questo raid, i giovani del paese gettarono le armi nel Naviglio per recuperarle poi a guerra finita.

badoer fattorettoPoco più avanti si arriva a Villa Badoer-Fattoretto. Dalla fine del 1917, a seguito della ritirata di Caporetto, il Comando della Terza Armata la requisì per istituirvi l’ospedale da campo 0154 e che contava un centinaio di posti letto. Fu operativo anche dopo il 4 Novembre 1918, giorno della fine delle ostilità, fino alla fine dell’anno. Molti furono i soldati italiani deceduti tra la fine del 1917 e la fine del 1918. La villa fu requisita anche nel corso del secondo conflitto mondiale, a partire dal 1943, dalle autorità militari tedesche per allestirvi il loro ospedale. Erano però presenti anche gli uffici di alcune organizzazioni di lavoro naziste che, alla pari della più famosa organizzazione Todt, realizzavano fortificazioni militari, bunker, sistemi di difesa. Davanti alla villa, il ponte: questo era stato minato ma in molte occasioni i partigiani dolesi riuscirono a sabotare gli automezzi tedeschi. Si presume che in questo snodo collegante Dolo e Sambruson il 29 aprile 1945 le truppe alleate avessero incrociato quelle tedesche in ritirata: dopo un breve scontro a fuoco, a cui parteciparono anche alcuni partigiani locali, 238 uomini si arresero e furono condotti in un campo di prigionia in via Alture.

Il nostro percorso ritorna quindi in Isola Bassa e si conclude allo Squero. Ci piace ricordare quel 29 aprile 1945, quando Dolo e la Riviera del Brenta furono liberate. È anche in questa riva che i dolesi videro passare decine di carri armati che stavano andando verso Venezia. Questo passaggio non avvenne tranquillamente, tanto che i carri britannici spararono un colpo contro il campanile, dove i tedeschi avevano posizionato una mitragliatrice da usare contro i ricognitori della Royal Air Force: alcuni partigiani, saliti in cima per salutare la tanto sospirata liberazione, furono scambiati per cecchini. Fortunatamente non ci furono vittime, ma fu un segnale di allerta per gli alleati che poi, all’altezza del ponte di via Zinelli, si trovarono a fare i conti con alcuni irriducibili cecchini fascisti.

Quanto riportato è frutto di anni di studi e ricerche compiute da Riviera al Fronte. Per la Grande Guerra, molto è stato riportato nel libro Dolesi al Fronte. La Prima Guerra Mondiale, che si è avvalsa della collaborazione del Comune di Dolo e dei vari archivi di Stato del Veneto, oltre che delle parrocchie dolesi; per quanto riguarda la Seconda Guerra Mondiale, è stata fondamentale la consultazione dell’archivio della sezione Anpi di Dolo. Il lavoro, marginale e che intende espandersi grazie al contributo della comunità, vuol essere un omaggio a coloro che hanno combattuto. In questo caso, questo scritto intende ricordare uomini come Erminio Ferretto, ucciso dalle Brigate Nere a Mogliano Veneto nel febbraio 1945; Cataldo Presicci, giustiziato a Padova nell’agosto 1944 dopo aver sostenuto la Resistenza dolese, nonostante la sua divisa di ufficiale della RSI; Giovanni Mion, Ermes e Vittorio Parolini, Romeo Isepetto, Luigi Levorato, Giovanni Boffo, Cesare Ometto, Renato Faggian, Santo Marcato, Giovanni Zabeo, Sergio e Battista Braga, ma anche le decine di soldati da tutte le regioni italiane che hanno trovato la morte nelle ville della Riviera del Brenta.

Attività 2017

Quest’anno decidiamo di rivolgere le nostre attenzioni ad un tema che fin’ora è rimasto a noi un po’ celato: la Seconda Guerra Mondiale e le guerre che la anticiparono di qualche anno, quali Etiopia e Spagna.
E’ proprio ad esse che si rivolgono la nostra mostra annuale e la 4^ ed. dei nostri Gagliardetti della Memoria.

Dal 4 novembre al 3 dicembre 2017
1935-1945 GUERRE E STORIE DI UOMINI E MEZZI

Con le associazioni modellistiche Flying Lions e Aquile Tonanti, unitamente alla collaborazioni dell’A.N.C.R. e dell’A.N.P.I., dell’ass.ne Arcobaleno e dell’I.T.C.S. “Maria Lazzari” di Dolo, viene allestita nelle sale dell’ex-Macello di Dolo, un’esposizione di cimeli, foto, modellini e biografie di uomini che anno preso parte alla storia d’Italia partendo dalla Riviera del Brenta.
Una particolare sezione viene dedicata ai combattenti, partigiani e patrioti, che si opposero al nazifascismo attraverso azioni di guerriglia, incursioni, sabotaggi ma anche dando ospitalità e rifugio a prigionieri di guerra, ebrei e perseguitati politici. In questa sezione viene proiettato un video, girato da noi nei luoghi della Riviera del Brenta che furono protagonisti di questi eventi.

Con l’appoggio del cinema “Italia” viene realizzato anche un cineforum in cui vengono proiettati quattro film selezionati per la loro trama, contenuto e messaggio:

Pelizza Giuseppe: storia di un IMI

Pelizza Giuseppe era figlio di Umberto e Menegazzo Maria.
Nato a Camponogara il 20 marzo 1922, al momento della chiamata alle armi risultava essere celibe e residente nel paese natale in Via Casino Rosso n. 16.

Al momento della visita di leva, avvenuta il 10 marzo 1941, venne registrato con la matricola 11.009 e segnalato come agricoltore istruito. Dopo un periodo di congedo dal servizio, venne richiamato il 21 gennaio 1942 ed inviato alla Scuola Applicazione Artiglieria e Genio (1° Btg.) di Torino, in territorio dichiarato in stato di guerra; trasferito a Casale Monferrato (AL) presso il Deposito del 1° Rgt. Artiglieria di Corpo d’Armata, 155° Gruppo, 29a Batteria, tra il settembre 1942 ed il marzo 1943 prese parte a diversi corsi abilitativi  che lo portarono a conseguire i certificati d’idoneità valevoli per la guida di autocarri ed automezzi militari quali i  modelli Fiat Medio, Fiat 18 B.L.R. e Bianchi.
Il 1° aprile 1943 venne assegnato al 1° Rgt. Artiglieria di Corpo d’Armata mobilitato ed inviato ad operare in Francia il 1° maggio.

Con la caduta del regime fascista, l’8 settembre 1943 venne catturato dalle truppe tedesche e deportato in Germania. Internato con la matricola n. 569, in data 19 novembre 1943 scrisse ai genitori la seguente lettera destinata agli internati:

Carissimi genitori il mio stato di salute è ottimo così vorrei sperare anche di voi. Anzi molto desiderio di sapere di notizie di mia Mamma. Non datevi pensiero di me io mi trovo bene [segue un’altra riga sbiaditasi nel tempo]”

Fronte e retro della cartolina spedata dal Lager dal soldato Pelizza Giuseppe
Fronte e retro della cartolina spedata dal Lager dal soldato Pelizza Giuseppe

A causa dei patimenti provati nel Lager – indicato con un generico “M. Stammlager V. C.” – si ammalò di tubercolosi polmonare bilaterale aperta decedendo il 31 luglio 1944. Venne quindi sepolto nel cimitero di Nagold, settore XXIV, tomba n. 22 ed in seguito  traslato nel Cimitero Militare Italiano d’Onore (Walfriedhof) di Monaco di Baviera negli anni 1968.
Dopo l’avvio di una complessa trattativa, per volontà degli eredi le spoglie mortali di Giuseppe sono finalmente rientrate in Italia, venendo sepolte nel cimitero di Vigonovo l’11 ottobre 2008.

Momenti della cerimonia di traslazione della salma nel Comune di Vigonovo
Momenti della cerimonia di traslazione della salma nel Comune di Vigonovo

Insignito della Medaglia Commemorativa della Campagna di guerra 1943-1944; Croce al Merito di Guerra 1940-1945; Croce al Merito di Guerra in qualità di deportato.

NOTE: è importante precisare che al deportato non era possibile fornire indicazioni sul luogo in cui si trovava e ciò spiegherebbe il motivo dell’indicazione generica di “Stammlager“. Data la località di sepoltura, è probabile si trovasse nel lager di Nagold, uno dei tanti sottocampi presenti in Germania.

Fonti:
Foglio Matricolare 11009/1922
Articolo de “Patria Indipendente” del 14 dicembre 2008, anno XII
Documentazione conservata presso la fam. Pelizza di Vigonovo, che si ringrazia per la partecipazione.

Alberto Donadel

Alle origini del Nazionalsocialismo

«Gran parte del miscuglio di idee che andò a costituire
l’ideologia nazista era già formato, sotto diverse fogge e a un
diverso grado di intensità, prima della Grande Guerra»
Ian Kershaw

Adolf_Hitler
Adolf Hitler, Cancelliere del III Reich (1933-1945)

Ho sempre visto Adolf Hitler come una specie di mostro dei film o dei racconti dell’orrore. Una “creatura” figlia di un’Europa fatta d’imperi e super potenze, nutritosi del nazionalismo e della politica violenta di quegli anni e, infine, plasmato dalla brutalità della Prima Guerra Mondiale. Hitler incarnò con la sua malvagità la summa delle conseguenze degli accadimenti politici e di correnti di pensiero europeo dell’Ottocento e degli inizi di Novecento.
Quando nel 1925 venne pubblicato il “Mein Kampf” in cui Hitler espose il programma del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori non godette di molta considerazione da parte delle autorità della Repubblica di Weimar e delle diplomazie occidentali.

Mein Kampf
Il “Mein Kampf

Forse perché le idee ivi contenute non erano particolarmente innovative bensì mutuate da tesi espresse molto tempo prima dalla destra radicale europea, dai movimenti xenofobi e antisemiti, dal cristianesimo integralista, dai nazional patriottici e pangermanisti tedeschi e austriaci. In questo senso l’ideologia espressa nel “Mein Kampf”, seguita pedissequamente dai nazisti, rappresentava un effetto degenerativo della cultura occidentale.
Una delle correnti di pensiero che contribuì nel tempo allo sviluppo del nazionalsocialismo fu il pangermanesimo, un movimento sorto in Germania e in Austria nel corso del XIX secolo avente come obiettivo l’unione politica di tutti i popoli di lingua e cultura tedesca.
Il pangermanesimo costruiva le sue basi nel concetto di “Volk”, inteso come individui legati da un’essenza trascendente. Più in particolare, era la coscienza di un determinato popolo nel fatto di essere il risultato di una rappresentazione della natura del luogo stesso in cui vivevano, subendone l’influenza.
Dopo il crollo dell’Impero di Napoleone Bonaparte le organizzazioni pangermaniche diedero vita a diverse fazioni politiche; ebbe la meglio la corrente che sosteneva il progetto di unificazione della Germania sotto la guida della corona prussiana. Infatti, con la sconfitta dei francesi a Sedan nel 1870 il re prussiano Guglielmo I venne incoronato e la Confederazione tedesca divenne un impero iniziando così il Secondo Reich.

Guglielmo I
Guglielmo I, Re di Prussia ed Imperatore di Germania

Un po’ alla volta la relazione concettuale del “Volk” tra la natura del luogo di nascita e le peculiarità caratteriali di un popolo assunse toni differenti. Nella Germania guglielmina di fine Ottocento, infatti, il pangermanesimo ha una veste più marcatamente razzista, con la proclamazione della superiorità della razza tedesca e della necessità del suo dominio su tutta l’Europa centrale ed orientale. Tali idee, unite ad un crescente militarismo, furono alla base del nuovo corso politico di Guglielmo II ed una concausa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Guglielmo II
Guglielmo II,  Imperatore di Germania

La sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale decretò la fine dell’Impero guglielmino ma non del pangermanesimo. Divenne una parte fondamentale delle concezioni politiche di Hitler legandosi al concetto di “spazio vitale” per le popolazioni tedesche, da realizzare attraverso politiche di annessione al Terzo Reich (Austria, Sudeti, Boemia, Moravia). Questo portò allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ed agli orrori dei campi di concentramento.

Mattia Massaro

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